La normativa nazionale italiana sul calcolo dell’anzianità di servizio degli insegnanti al momento della conclusione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e che prevede la riduzione del conteggio dell’anzianità maturata nei periodi di assunzione a tempo determinato, è conforme con le norme europee.
Lo ha sancito la Corte di giustizia europea, pronunciandosi, il 20 settembre 2018, sulla causa C-466/2017, e rispondendo ad una domanda di pronuncia pregiudiziale che verteva sull’interpretazione della clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999.
Questione che, a sua volta, era stata presentata nell’ambito di una controversia tra una insegnante italiana e la Provincia autonoma di Trento.
I giudici europei hanno, in particolare, concluso che la clausola 4 dell’Accordo quadro citato (che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE), “non osta”, in linea di principio, ad una normativa nazionale come quella in esame, che, nella specie, “ai fini dell’inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tiene conto dei periodi di servizio prestati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi”.
Nella vicenda esaminata, la Provincia autonoma di Trento aveva proceduto alla ricostruzione della carriera della ricorrente, ai fini del suo inquadramento nella pertinente fascia retributiva, riconoscendole un’anzianità di 80 mesi sui 96 mesi effettivamente prestati con contratto di lavoro a tempo determinato. I primi quattro anni erano stati computati per intero, i quattro successivi limitatamente ai due terzi.
Per questo, la docente aveva avanzato ricorso dinanzi al Tribunale del lavoro, il quale, in considerazione del principio di non discriminazione rispetto ai docenti assunti sin dall’inizio a tempo indeterminato mediante concorso, aveva sollevato la questione di fronte alla Corte di giustizia Ue.
E in questa sede, gli elementi invocati dal Governo italiano per motivare la differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato sono stati ritenuti una “ragione oggettiva” di giustificazione ai sensi della norma europea richiamata.
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