L’esistenza formale di un contratto, come quello che costituisce un partenariato, non esclude l’indipendenza di un solo soggetto nell’esercizio dell’attività economica.
Verte sulla nozione di soggetto passivo, ai fini della determinazione del debitore dell’imposta sul valore aggiunto, la sentenza del 16 settembre 2020 relativa alla causa C-312/19 emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
La Corte preliminarmente ricorda che l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 è così formulato:
“Si considera ‘soggetto passivo’ chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività.
Si considera ‘attività economica’ ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate. Si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità”.
Dopo l’excursus della normativa e l’esame del caso di specie - un “partenariato” di due soggetti persone fisiche, avente come scopo una collaborazione ai fini della costruzione di un immobile residenziale - la Corte europea chiarisce che una persona fisica che abbia concluso con un’altra persona fisica un contratto di attività congiunta costitutiva di un partenariato, privo di personalità giuridica, caratterizzato dal fatto che la prima persona è legittimata ad agire in nome di tutti i partner, ma interviene da sola e in nome proprio nei rapporti con i terzi quando compie gli atti che costituiscono l’attività economica perseguita da tale partenariato, deve essere considerata un “soggetto passivo” (ex articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112) e come l’unica tenuta a versare l’Iva dovuta ai sensi dell’articolo 193 della direttiva in parola, nei limiti in cui agisce per conto proprio o per conto terzi in qualità di commissionario (ex articolo 14, paragrafo 2, lettera c) e articolo 28 della stessa direttiva).
La Corte spiega che nonostante la presenza nel contratto di cui trattasi di una clausola che designava l’interessato persona fisica come la persona che, nei rapporti con i terzi, agiva in nome di entrambi i partner di tale contratto, il giudice del rinvio constatava, in particolare per quanto riguarda le cessioni di cui trattasi, che lo stesso interveniva da solo in tali rapporti, senza menzionare l’identità del partner o il partenariato di cui trattasi, cosicché è molto probabile, secondo tale giudice, che i destinatari delle cessioni di cui trattasi non fossero a conoscenza dell’esistenza di un partner.
Ne consegue che l’interessato ha agito in nome e per conto proprio, assumendosi da solo il rischio economico connesso alle operazioni imponibili di cui trattasi.
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