Corte di Cassazione, il principio di proporzionalità nel licenziamento disciplinare

Pubblicato il 03 dicembre 2021

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 15 novembre 2021, n. 34422, afferma che, in tema di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo soggettivo, è sempre richiesta la proporzione tra fatto e sanzione.

Nella fattispecie in oggetto, un lavoratore con mansioni di portiere, durante il suo turno di lavoro, era stato sorpreso dal suo referente di cantiere mentre dormiva all’interno della sua automobile; la vettura, peraltro, era parcheggiata in una zona in cui era assolutamente vietato il transito per motivi di sicurezza.

In seguito a tale evento, visionabile dal video su supporto DVD, l’impresa irrogava al lavoratore il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, con preavviso.

Con la sentenza del 15 maggio 2018, il Tribunale di Bari rigettava l’istanza di impugnazione del lavoratore.

Di diverso avviso la Corte di Appello di Bari che, con la pronuncia del 27 novembre 2018, accoglieva le doglianze del lavoratore.

Nello specifico, condannava l’impresa a corrispondere, in favore del dipendente, una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.

In particolare, il giudicante, seppur ritenendo il comportamento del lavoratore caratterizzato dai requisiti di coscienza e volontarietà del fatto, valutava il predetto licenziamento per giustificato motivo soggettivo carente del principio di proporzionalità tra la condotta e la sanzione.

La società adiva, dunque, la Corte Suprema contestando l’errata applicazione delle norme di diritto e dei contratti collettivi di lavoro e deducendo che la valutazione posta nella riformulata sentenza non teneva conto dell’ipotesi sanzionatoria tipizzata dalla contrattazione collettiva.

Secondo gli Ermellini, invece, il giudizio della Corte territoriale è conforme all’orientamento, ormai consolidato, della giurisprudenza, secondo cui le previsioni della contrattazione collettiva non vincolano il giudice di merito, il quale deve analizzare la proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto al fatto contestato.

L’art. 30, comma 3, legge n. 183/2010, secondo cui “nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentativi (…)”, avvalora, altresì, la tesi sostenuta dai giudici di Piazza Cavour, sicché le previsioni della contrattazione collettiva non esimono il giudice dal valutare la proporzionalità della sanzione in ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, quali fattispecie legali che non precludono l’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte idonee a compromettere il vincolo fiduciario tipico del rapporto di lavoro subordinato, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo stesso in relazione ad una determinata infrazione.

In ossequio di quanto esposto, la Corte rigetta il ricorso.

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