Nella diretta streaming di ieri, organizzata dai Consulenti del Lavoro, il direttore generale dell’Inail, Giuseppe Lucibello, ha affrontato il delicato tema della responsabilità del datore di lavoro nei casi di contagio da Coronoavirus in azienda, materia di profonda attualità durante la Fase 2.
Strizzando l’occhio all'eventualità che il “decisore politico” preveda uno scudo penale a vantaggio dei datori di lavoro ligi alle disposizioni dei protocolli di sicurezza del 14 marzo e del 26 aprile 2020, il direttore generale ha principalmente posto l’attenzione sul dato normativo dell’articolo 42 del decreto “Cura Italia” (Dl n. 18/2020) che, nella sostanza, parifica il contagio da Covid-19 all’infortunio sul lavoro (con copertura Inail), potenzialmente conducendo a sanzionare anche sotto il profilo penale l’imprenditore, riconducendone gli illeciti tra i reati di lesioni (ex art. 590 cod. pen.) e omicidio per colpa grave (ex art. 589 cod. pen.).
L’equiparazione innescata dal “Cura Italia”, che non ha sorpreso Lucibello – non è nuovo al nostro impianto il presupposto tecnico-giuridico della norma, ovvero l’equivalenza tra causa violenta (valevole per gli infortuni) e causa virulenta (nella quale rientra il virus) - sembra, viceversa, preoccupare non poco gli imprenditori.
In effetti, problematico sarebbe applicare ai datori di lavoro le sanzioni civili e (soprattutto) penali in un contesto complicato come l’attuale, con i limiti delle indicazioni del momento. Dice il direttore generale, concludendo che l’Inail terrà conto del “fenomeno pandemico” ed eserciterà “eventuali azioni di regresso” solo in presenza di condanne penali: “Basti pensare che ci sono state fasi di sovrapposizione di prescrizioni nazionali, regionali, comunali e che talvolta le stesse non potevano essere seguite in toto perché, ad esempio, mancavano i Dpi (Dispositivi di protezione individuale, ndr). Negli stessi protocolli firmati da aziende e sindacato si contano, poi, miriadi di prescrizioni. Tutto ciò senza dimenticare che il contesto probatorio è ancora poco chiaro, così come è tutto da indagare l’impatto sul contagio dei cosiddetti asintomatici.”.
Sarebbe per l'appunto questa sovrapposizione - come pure la poca chiarezza - il sostrato del rischio, temuto dai datori di lavoro, di cadere nell’illecito penale.
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