Posto che sono escluse dalla base imponibile le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori, nonché quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione, fatta salva l'imponibilità dell'indennità sostitutiva del preavviso, ex art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 314/1997, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 13057 del 23 giugno 2016, ha sostenuto che non possono considerarsi come incentivi all’esodo - bensì come mera retribuzione - le somme scaturite da un accordo tra datore e lavoratore, successivo alla risoluzione del rapporto.
Per gli Ermellini a prescindere da quanto risulti dall'accordo transattivo circa la causale dell’erogazione dell'importo, deve aversi sempre riguardo all’effettiva natura dell’erogazione la quale, nel caso in cui la stessa sia strettamente connessa al rapporto di lavoro, al di là del nome adoperato, ha funzione tipicamente retributiva.
Nel caso di specie, gli accordi tra la società appellante e ciascuno dei lavoratori erano, infatti intervenuti dopo la risoluzione del contratto e, quindi, non in funzione di incentivo alla risoluzione del rapporto, bensì di composizione delle reciproche pretese derivanti dalla risoluzione del rapporto di lavoro.
Inoltre, i verbali di conciliazione, da un lato, contenevano la rinuncia dei lavoratori ad ogni pretesa nascente dal rapporto di lavoro, dall'altro, non prevedevano l'erogazione di alcuna somma a titolo di trattamento di fine rapporto, preavviso, risarcimento del danno ex art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Tali indici sono stati ritenuti dalla Corte, tutti sintomatici della natura retributiva delle erogazioni su cui, quindi, vanno pagati i contributi previdenziali.
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