Contratti di collaborazione, il ruolo dei consulenti nella certificazione dei requisiti

Pubblicato il 04 luglio 2015

Ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del Dlgs n. 81/2015, in attuazione del Jobs Act, è previsto che il lavoratore - nella certificazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa - si può far assistere da un sindacato, da un avvocato oppure da un consulente del lavoro; tutto ciò in linea con quanto già espresso dalla Legge n. 92/2012, che ha riconosciuto ai Cdl la possibilità di assistere le parti nella procedura obbligatoria collegata ai licenziamenti economici.

L'Associazione sindacale dei commercialisti (Anc), nei giorni scorsi, ha criticato questa prerogativa riconosciuta ai consulenti del lavoro, esprimendosi così a nome del presidente, Marco Cuchel: “non si capisce perché il decreto legislativo 81 esclude i commercialisti, che possono svolgere gli adempimenti in materia di lavoro in base alla legge 12/1979, dall’assistenza alle parti nella certificazione”.

Intanto dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro è stato elaborato un vademecum dal titolo “Il ruolo del Consulente del Lavoro nella certificazione dei contratti di collaborazione”.

Dal momento che dal 1° gennaio 2016 si applicherà la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, ai consulenti spetta proprio l'incarico di certificare l'assenza dei requisiti che invaliderebbero l'autonomia del rapporto di lavoro, comportandone la riconduzione alla forma subordinata.

Per Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale, quella del Dlgs 81/2015 è una ulteriore conferma dell'affidabilità della categoria dei consulenti del lavoro nel ruolo di terzietà.

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