La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 32, comma 2, del Decreto legislativo n. 150/2011 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione).
Questo, nella parte in cui dopo le parole “È competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto” non prevede le parole “ovvero, nel caso di concessionario della riscossione delle entrate patrimoniali, del luogo in cui ha sede l’ente locale concedente”.
Nel dettaglio, la Consulta, con sentenza n. 158 del 25 giugno 2019, si è pronunciata nel giudizio di legittimità costituzionale, in via incidentale, promosso dal Tribunale di Genova, in riferimento all’articolo 24 della Costituzione.
L’articolo 32, comma 2 citato, in particolare, è stato censurato nella parte in cui, con riguardo alla riscossione coattiva delle entrate patrimoniali degli enti pubblici locali, nello stabilire che per le controversie in materia di opposizione all’ingiunzione è competente il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto, sancisce, secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, l’applicazione di tale regola anche nel caso in cui l’ingiunzione sia stata emessa dal concessionario al quale l’ente pubblico locale ha affidato il servizio di riscossione delle proprie entrate patrimoniali.
Conseguentemente, per la determinazione della competenza territoriale dovrebbe farsi riferimento al luogo sede dell’ufficio del concessionario, che può ricadere in un circondario diverso da quello in cui ricade la sede dell’ente locale concedente, determinando - a detta del rimettente - una condizione di sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 Cost.
I giudici costituzionali hanno ritenuto la questione fondata, reputando che la norma censurata comporti una lesione del diritto di azione.
In proposito, la Consulta ha ritenuto applicabili i principi dalla stessa già enunciati nella sentenza n. 44/2016, con cui aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina secondo cui, per le entrate tributarie, le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione sono devolute alla competenza della commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché di quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente.
E’ stato quindi ribadito che, poiché l’ente locale non incontra alcuna limitazione di carattere geografico-spaziale nell’individuazione del terzo cui affidare il servizio di accertamento e riscossione dei propri tributi, lo “spostamento” richiesto al contribuente che voglia esercitare il proprio diritto di azione sarebbe potenzialmente idoneo a costituire una condizione di “sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione” o comunque a “rendere oltremodo difficoltosa la tutela giurisdizionale”.
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