Consulta: legittima la sanzione penale per chi "imbratta" i treni

Pubblicato il 18 maggio 2018

La Corte costituzionale ha ritenuto inammissibili due questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Milano e da quello di Aosta rispetto all’articolo 639 del Codice penale, la disposizione, ossia, che punisce il deturpamento e l’imbrattamento di cose altrui.

In particolare, il Tribunale meneghino aveva sollevato questione di incostituzionalità, con riferimento all’articolo 3 della Costituzione, relativamente al secondo comma dell’articolo 639 citato, nella parte in cui prevede che per il deturpamento o l’imbrattamento di beni immobili o di mezzi di trasporto pubblici o privati si applica − anche quando il fatto non è commesso con violenza alla persona o con minaccia, né in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall’art. 331 cod. pen. − la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a mille euro, anziché la sanzione pecuniaria civile da cento a ottomila euro.

La questione sollevata dal Tribunale di Aosta riguarda, invece il primo comma dell’articolo, nella parte in cui prevede che chiunque, fuori dai casi previsti dall’art. 635 del medesimo codice, deturpa o imbratta cose mobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 103 euro, anziché con la sanzione pecuniaria civile da cento a ottomila euro.

I due rimettenti, ovvero, lamentavano che le fattispecie di imbrattamento fossero punite in misura peggiore rispetto al reato di danneggiamento, allo stato depenalizzato.

Danneggiamento depenalizzato solo se non aggravato

Ritenendo inammissibili entrambe le questioni, la Consulta, con sentenza n. 102 del 17 maggio 2018, ha ricordato che l’intervento di depenalizzazione operato con il Decreto legislativo n. 7/2016 riguarda, tra le figure criminose interessate, anche il delitto di danneggiamento, previsto dall’art. 635 cod. pen., ma non l’ipotesi aggravata dello stesso che si realizza in caso di condotta commessa su edifici del centro storico, destinati all’uso pubblico, al culto, in ristrutturazione ecc.

Ne discende che, in casi analoghi, non sussisterebbe alcuna disparità di trattamento.

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