Con sentenza n. 202 del 10 novembre 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale degli artt. 669-quaterdecies e 695 del Codice di procedura civile.
Questo, nella parte in cui i predetti articoli non consentono di proporre reclamo contro il provvedimento che rigetta il ricorso per la nomina del consulente tecnico preventivo ai fini della composizione della lite.
La Consulta si è così pronunciata in ordine alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Roma, per asserita violazione degli agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Dopo una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento, i giudici costituzionali hanno concluso per la loro fondatezza in riferimento ad entrambi i parametri costituzionali evocati.
Per la Corte, infatti, la previsione della possibilità di proporre una domanda di fronte a un giudice senza poter contestare dinanzi a un organo giudicante diverso le ragioni che hanno condotto a un provvedimento di diniego si pone in contrasto:
Nel nostro ordinamento - ha ricordato la Consulta - il doppio grado di giudizio non è costituzionalmente prescritto nel processo civile.
Tuttavia, ciò che rileva è la compatibilità costituzionale della mancata previsione di qualsiasi strumento di controllo contro un provvedimento, quale è il diniego di nomina del consulente tecnico, avverso il quale non è ammesso il ricorso straordinario per cassazione e che, comunque, incide sulla tutela dell’interesse giuridico del ricorrente ad accedere alla definizione concordata di una possibile controversia.
La perdita del diritto della parte ricorrente alla chance di svolgere, tramite nomina di un consulente, un approfondimento tecnico nell’ambito di un procedimento mirato ad evitare l’instaurazione "di un lungo e dispendioso giudizio contenzioso", deve essere presidiato da uno strumento di gravame, quale è il reclamo del provvedimento di rigetto.
A ben vedere, il diritto della parte istante a contestare provvedimenti di rigetto inidonei alla formazione del giudicato, e che tuttavia determinano un pregiudizio ai suoi diritti, "costituisce una componente essenziale ed insopprimibile del diritto di difesa, in quanto si tratta di misure che non sono sottoposte ad alcuna ulteriore forma di controllo, neppure in sede di legittimità".
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