Connivenza nella frode carosello, prova anche per presunzioni

Pubblicato il 23 settembre 2015

In tema di riparto dell’onere probatorio tra Fisco e contribuente nelle cosiddette ipotesi di “frodi carosello”, grava sull’Amministrazione finanziaria la prova della connivenza del cessionario nella frode del cedente.

E detta prova può essere fornita anche mediante presunzioni semplici, le quali possono derivare anche dalle medesime risultanze di fatto attinenti alla natura di “cartiera” del cedente.

E’ quanto precisato dai giudici di Cassazione nel testo dell’ordinanza n. 18642 depositata il 22 settembre 2015, pronunciata con riferimento ad un giudizio in cui era stato contestato ad una società di aver beneficiato di fatture connesse ad operazioni soggettivamente inesistenti, nell’ambito di un più ampio contesto di “frode carosello”.

Nel dettaglio, la Suprema corte ha ribadito come, nelle ipotesi di apparente regolarità contabile delle fatture, dotate dei requisiti di legge, l’Ufficio sarà tenuto a provare sia gli elementi di fatto della frode, attinenti il cedente, ovvero la sua natura di “cartiera”, sia la connivenza nella frode da parte del cessionario.

Onere a carico del Fisco

Per quanto riguarda il primo aspetto, la natura di cartiera può essere ricavata dalla considerazione dell’inesistenza di una struttura autonoma operativa, dal mancato pagamento dell’Iva come modalità preordinata al conseguimento di un utile nel meccanismo fraudolento e da elementi simili.

Rispetto alla connivenza, invece, la prova non deve essere “certa” ed incontrovertibile, potendo essere fornita anche tramite presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità precisione e concordanza, consistenti nell’esposizione di elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sulla inesistenza sostanziale del contraente.

E qualora, con giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, l’Amministrazione finanziaria abbia fornito una prova nei termini sopra individuati, l’onere della medesima deve intendersi assolto, gravando, a questo punto, sul contribuente l’onere della prova contraria.

Nel caso specificamente esaminato, la Suprema corte ha confermato la decisione di merito di annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società contribuente, sulla base della considerazione che, nella specie, il Fisco non aveva affatto assolto, nemmeno per presunzioni, all’onere probatorio su di lui gravante. 

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