Condannabile penalmente l’imprenditore che “gonfia” a mano le fatture

Pubblicato il 16 novembre 2012 Con la sentenza n. 44479 del 15 novembre 2012, la Corte di Cassazione conferma il verdetto di colpevolezza emesso dai giudici di merito fiorentini nei confronti di un contribuente accusato di dichiarazione fraudolenta perpetuata attraverso l’uso di fatture per operazioni inesistenti.

I Supremi giudici riconoscono che le argomentazioni addotte nei precedenti gradi di giudizio sono lineari e non lasciano spazio a dubbi: gli importi delle fatture del contribuente risultano, infatti, inequivocabilmente ritoccati a penna dallo stesso e non coincidono affatto con gli originali rintracciati presso l’emittente. Oltre all’evidente contraffazione manuale, inoltre, l’imputato non è riuscito a dimostrare quanto effettivamente pagato al fornitore, adducendo come scusa il fatto di aver pagato la somma in più tranche in contanti.

A tutto ciò, la Corte di Cassazione ha aggiunto che pesano sull’imprenditore anche le verifiche incrociate svolte dalla Guardia di finanza ed, inoltre, è del tutto irrilevante ai fini della determinazione della punizione da applicare per evasione dell’imposta che nel frattempo sia stato spiccato un atto di accertamento da parte della Commissione tributaria provinciale.

La sentenza 44479/2012, dunque, riconosce la colpevolezza dell’imputato e conferma la condanna per false fatturazioni dato che i citati documenti contabili appaiono visibilmente corretti a mano. L’imputato avrebbe potuto mettersi al riparo dalla condanna penale solo se fosse riuscito a dimostrare l’effettivo esborso di denaro.
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