Conciliazione di licenziamento, i contributi non possono essere oggetto di rinuncia

Pubblicato il 14 maggio 2019

In caso di intervenuta transazione tra datore di lavoro e lavoratore - ex art. 1965 cod. civ. – al fine di chiudere volontariamente la controversia insorta, il datore di lavoro è sempre obbligato a corrispondere i relativi importi contributivi verso l’INPS. Tale principio vale anche qualora il lavoratore rinunci a ricevere somme a titolo contributivo o retributivo.

È questa la conclusione alla quale giungono i giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12652 del 13 maggio 2019. Ne consegue che il rapporto assicurativo e quello contributivo a esso connesso, sebbene sorgano entrambi con l’instaurazione del rapporto di lavoro, sono del tutto autonomi e distinti.

Conciliazione di licenziamento, cos’è la transazione

La transazione, disciplinata dall’art. 1965 cod. civ., è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti.

Il caso portato all’attenzione della Suprema Corte riguarda, per l’appunto, gli effetti della transazione: istituto al quale le parti – datore di lavoro e lavoratore – si sono affidati per porre fine alla controversia insorta tra di loro, definendo in via conciliativa la data e la causa della cessazione del rapporto di lavoro.

Conciliazione di licenziamento, la transazione non vale per i contributi INPS

Alla luce dell’intervenuta conciliazione tra le parti, l’INPS agiva per il recupero delle somme contributive dovute dal datore di lavoro in relazione al periodo accertato. La società proponeva ricorso avverso le pretese dell’Istituto Previdenziale, ritenendo che non sussisteva nessuna retribuzione imponibile od obbligo contributivo, in quanto il lavoratore stesso aveva rinunciato a ricevere tali somme.

La diatriba giunge fino alla Corte di Cassazione. Gli ermellini rigettano il ricorso proposto dalla società, ricordando che il rapporto previdenziale è distinto e autonomo rispetto al rapporto di lavoro. Pertanto, l’eventuale transazione non ha alcun effetto sull’obbligo contributivo, che rimane sempre dovuto.

Secondo gli orientamenti giurisprudenziali consolidati, l’INPS ha in ogni caso diritto ad azionare il credito contributivo, che sussiste e perdura indipendentemente dal fatto che le obbligazioni retributive nei confronti del lavoratore sono state in tutto o in parte soddisfatte o che quest’ultimo abbia rinunciato ai propri diritti (cfr. Cass. nn. 17495/2009 e 2642/2014).

Per concludere, i contributi sono “indisponibili” e l’obbligo del loro versamento non può in alcun modo essere pregiudicato da un atto dispositivo. L’importo, infine, deve essere calcolato in relazione alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe avuto diritto a percepire e non a quelle effettivamente percepite.

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