Il licenziamento collettivo irrogato è illegittimo e va annullato, con applicazione della tutela reintegratoria, se non sono indicate, nella comunicazione effettuata dal datore, le modalità di applicazione dei criteri di scelta ed è impedita ogni verifica di coerenza tra i detti criteri e la concreta applicazione degli stessi.
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso promosso da alcuni lavoratori contro la decisione con cui la Corte di appello si era pronunciata in ordine alla procedura di licenziamento collettivo loro intimata dalla società datrice di lavoro.
I giudici territoriali, pur riconoscendo l'illegittimità del licenziamento collettivo in oggetto, avevano ritenuto che lo stesso fosse affetto da mera violazione di carattere formale ed avevano pertanto applicato la sola tutela indennitaria.
I lavoratori avevano promosso ricorso in sede di legittimità, dove avevano lamentato, tra i motivi, un'errata valutazione delle carenze riscontrabili nella comunicazione finale effettuata dal datore, carenze che integravano - secondo la loro difesa - non una mera irregolarità formale bensì la violazione dei criteri di scelta.
Nella predetta comunicazione, infatti, mancava la puntuale indicazione delle modalità di applicazione dei criteri utilizzati, idonea a consentire la valutazione comparativa delle posizioni dei dipendenti e, pertanto, la verifica della corretta applicazione dei suddetti criteri.
Doglianza, questa, che la Suprema corte ha giudicato fondata, dopo aver richiamato i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale.
Con sentenza n. 9800 del 25 marzo 2022, la Sezione lavoro della Cassazione ha, in primo luogo, ribadito che la disciplina dettata dalla Legge n. 223/1991 rappresenta una garanzia, di natura essenzialmente procedimentale, destinata ad operare su un duplice piano di tutela, quello delle prerogative sindacali e quello delle garanzie individuali.
La funzione assolta è di porre le associazioni sindacali in condizione di contrattare i criteri di scelta e di assicurare al lavoratore, potenzialmente interessato al licenziamento, la previa individuazione dei medesimi criteri e la verificabilità dell'esercizio del potere privato del datore di lavoro.
In particolare, la comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, della Legge n. 223/1991 - che fa obbligo di indicare "puntualmente" le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare - è finalizzata a consentire ai dipendenti interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell'operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti.
Tale comunicazione cristallizza anche le ragioni del recesso, non consentendo al datore di dedurre in giudizio, ex post, l'applicazione di modalità di scelta diverse da quelle indicate.
A questo fine, dunque, occorre che i presupposti fattuali sulla cui base i criteri sono stati applicati risultino ben individuabili dalla comunicazione.
Nel caso in esame, la generica indicazione dei criteri di scelta - in particolare dei dati relativi ai carichi di famiglia e della concreta traduzione, per ciascun lavoratore, dei punteggi ricollegati astrattamente ai criteri selezionati (anzianità di famiglia, esigenze tecnico produttive ed organizzative, carichi di famiglia) - aveva impedito ogni verifica di coerenza tra i detti criteri e la concreta applicazione degli stessi, non offrendo alcun parametro comparativo, rispetto alla posizione di altri lavoratori, idoneo ad escludere la sussistenza di ingiustificati trattamenti più favorevoli, come invece sostenuto dalla società.
In mancanza della esplicitazione di un "criterio oggettivo di ponderazione tra criteri omogenei", l'indicazione astratta del loro contestuale operare non era sufficiente a dar conto di come gli stessi dovessero essere applicati con modalità trasparenti e verificabili.
Ciò premesso, la Corte territoriale non aveva fatto corretta applicazione dei principi richiamati, anche per quanto riguardava il regime sanzionatorio cui fare riferimento nel caso in esame.
Secondo la Cassazione, infatti, andava data continuità all'orientamento di legittimità secondo cui, quando la comunicazione, carente sotto il profilo formale delle indicazioni relative alle modalità di applicazione dei criteri di scelta, si sia risolta nell'accertata illegittima applicazione di tali criteri, va disposto l'annullamento del licenziamento, con condanna del datore alla reintegrazione dei lavoratori nel posto di lavoro e al contestuale pagamento di un'indennità risarcitoria.
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