La nuova malattia non integra ex se ragione obiettiva di illegittimità del licenziamento ma elemento di fatto al fine del computo del periodo di comporto di cui il datore di lavoro deve essere necessariamente edotto.
Così la Corte di cassazione, nel confermare la decisione con cui i giudici di secondo grado avevano accertato la legittimità di un licenziamento comminato a un lavoratore per superamento del periodo di comporto.
Il dipendente si era opposto alla sanzione espulsiva per il fatto che il datore di lavoro, nel conteggio dei giorni di assenza rilevanti ai fini del superamento del comporto, non aveva tenuto conto della nuova malattia nel frattempo insorta in capo al medesimo.
Tuttavia, il certificato medico relativo a quest’ultima era stato fatto pervenire al datore quando ormai la sanzione espulsiva era stata intimata con la spedizione della lettera raccomandata di licenziamento.
Per la Corte d’appello, ciò posto, il licenziamento era da ritenere legittimo in considerazione della non conoscibilità, da parte del datore di lavoro, della nuova malattia all’atto di recesso.
Con sentenza n. 27912 del 4 dicembre 2020, la Corte di cassazione ha aderito a queste conclusioni sottolineando come, nel caso in esame, doveva escludersi una rilevanza oggettiva della nuova malattia.
Essa, infatti, ancorché non tempestivamente comunicata al datore, non integrava ex se ragione obiettiva di illegittimità del licenziamento, “ma elemento di fatto al fine del computo del periodo di comporto, rispetto al quale il datore di lavoro deve essere necessariamente edotto, tenuto conto del ragionevole spatium deliberandi di cui dispone per una valutazione conveniente della sequenza di episodi morbosi del lavoratore” e la conseguente mobilità del termine esterno di computo.
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