Con l’innalzamento del limite per la compensazione dei crediti Iva si è ridotto l'ambito della condotta rilevante ai fini sanzionatori, circoscritta all'omesso versamento di importi eccedenti il tetto più elevato.
E' quanto sottolineato dalla Corte di cassazione nel testo dell'ordinanza n. 18367 del 30 giugno 2021, pronunciata in accoglimento del ricorso avanzato da una società contribuente, oppostasi all’atto di contestazione con cui erano state irrogate sanzioni per l'effettuazione di compensazioni di Iva per importi superiori al limite previsto.
I giudici di seconda istanza avevano respinto l’impugnazione della contribuente evidenziando che la violazione aveva natura sostanziale e che non esistevano cause di non punibilità.
La Srl si era rivolta alla Suprema corte, lamentando, tra gli altri motivi, la mancata applicazione del trattamento sanzionatorio più mite conseguente all'approvazione dell'art. 9, secondo comma, DL n. 35/2013, che ha innalzato a euro 700mila euro il limite di 516mila euro previsto dall'articolo 34, primo comma, della Legge n. 388/2000.
Il motivo è stato giudicato fondato dagli Ermellini, i quali hanno sottolineato come il richiamato art. 9, secondo comma, disponendo l'innalzamento del limite per la compensazione dei crediti Iva, abbia determinato una riduzione dell'ambito della condotta rilevante ai fini sanzionatori, che risulta, per l'effetto, circoscritta all'omesso versamento di importi di importi eccedenti il più elevato tetto.
Di conseguenza, va applicato un trattamento sanzionatorio più mite, in ragione del fatto che la sanzione è liquidata in relazione all'entità delle somme indebitamente compensate.
In proposito – si legge nelle conclusioni dell’ordinanza - la nuova disposizione, introduce un regime sanzionatorio più favorevole per il contribuente che trova applicazione nel caso in esame, in ossequio al principio del favor rei.
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