La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 12461 pubblicata il 21 maggio 2018, ha chiarito alcuni dubbi riguardanti la composizione del Consiglio dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e la eleggibilità dei suoi consiglieri.
La Suprema Corte accoglie il ricorso presentato dai membri della lista che si sono candidati alla guida dell’Ordine dei commercialisti di Roma, nell’autunno del 2016, e che sono stati battuti dal Presidente uscente, Mario Civetta, che si è potuto ricandidare alla stessa carica in virtù di un’interpretazione fornita dal Cndcec all’articolo 9, comma 9, del DLgs. n. 139/2005, che letteralmente dispone: “I consiglieri dell’Ordine ed il Presidente possono essere eletti per un numero di mandati consecutivi non superiore a due”.
Il Consiglio nazionale ha interpretato il dettato normativo nel senso che il limite dei due mandati consecutivi trovava applicazione solo in caso di ulteriore candidatura per la stessa carica precedentemente ricoperta.
L’intervento della Corte di Cassazione è servito, ora, a sancire che il limite dei due mandati consecutivi in Consiglio non opera separatamente ma congiuntamente per le funzioni di consigliere e presidente.
Sbagliava, dunque, il Cndcec a considerare possibile la rielezione del presidente uscente, dopo che lo stesso aveva ricoperto il ruolo di consigliere nel ciclo ancora precedente.
Secondo i Supremi giudici, infatti, la causa di ineleggibilità prevista dalla norma sopra citata è destinata a trovare applicazione, oltre che nel caso di ulteriore candidatura per la stessa carica da parte di un soggetto che abbia già ricoperto per due mandati consecutivi la carica di consigliere o di presidente, anche nel caso in cui un soggetto che abbia già ricoperto per due mandati consecutivi la carica di consigliere intenda candidarsi a quella di presidente, o viceversa, nonché nel caso in cui il candidato all’una o all’altra carica le abbia ricoperte entrambe, consecutivamente, nell’ambito delle consiliature immediatamente precedenti.
Infatti, la posizione del presidente non è da considerare diversa da quella di tutti gli altri consiglieri.
La ratio della illegittimità prevista dal citato articolo 9 è da ricondurre “all’esigenza di assicurare la più ampia partecipazione degli iscritti all’esercizio delle funzioni di governo degli Ordini, favorendone l’avvicendamento nell’accesso agli organi di vertice, in modo tale da garantire la “par condicio” tra i candidati, suscettibile di essere alterata da rendite di posizione, e da evitare il manifestarsi di fenomeni di “sclerotizzazione” nelle relative compagini, potenzialmente nocivi per un corretto svolgimento delle funzioni di rappresentanza degli interessi degli iscritti e di vigilanza sul rispetto da parte degli stessi delle norme che disciplinano l’esercizio della professione, nonché sull’osservanza delle regole deontologiche”.
Esigenza che – secondo la Corte – non potrebbe ritenersi soddisfatta se “accettandosi l’interpretazione del Consiglio Nazionale, si ritenesse ammissibile da parte di chi ha già ricoperto per due mandati consecutivi la carica di consigliere o quella di presidente o entrambe un’ulteriore candidatura per l’elezione all’altra carica, rendendosi in tal modo possibile una permanenza a tempo indeterminato del medesimo soggetto negli organi di governo dell’Ordine, con conseguente esclusione di altri eventuali aspiranti dall’accesso alle medesime cariche”.
Per tale motivo, la Suprema Corte ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata e il conseguente rinvio della causa al Cndcec, affinché provveda, in diversa composizione, a riesaminare il reclamo presentato da alcuni iscritti, applicando il principio espresso nella recente ordinanza.
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