Colpevole il medico che tenta una manovra pericolosa più volte conoscendone i rischi

Pubblicato il 19 luglio 2018

E’ colpevole di imperizia e imprudenza il medico anestesista che insiste nell’effettuare una manovra di rianimazione su un paziente, quando è noto il il rischio di tentare la pratica più volte.

Accogliendo il ricorso del Pm e delle parti civili contro la sentenza di secondo grado - che assolveva una anestesista, accusata di aver provocato la morte di bimbo di 17 mesi dopo aver tentato per sette volte di incannulare le vene del collo del paziente, pur in assenza di un rischio immediato di vita e nell’ambito di un intervento programmato – la Suprema Corte, con sentenza n. 33045/2018, annulla la sentenza impugnata senza rinvio agli effetti penali essendo il reato estinto in prescrizione.

In Appello la condanna per omicidio colposo a carico dell’anestesista era stato esclusa per insussistenza del fatto: dalle relazioni del perito nominato dal Gip, emergeva, infatti, la grande difficoltà tecnica dell’incannulazione della giugulare e l’elevatissimo rischio di trombosi, che escludevano l’imperizia dell’accusata.

Secondo la Corte di Cassazione, però, tale motivazione non regge.

Gli stessi periti avevano evidenziato il grande rischio di praticare tale manovra su un bimbo di poco più di sei chilogrammi di peso e, soprattutto, avevano sottolineato il fatto che “l’imputata non avesse affatto agito in una situazione di emergenza, poiché l’intervento era programmato e non avvenne in via di urgenza, e le condizioni generali del paziente erano discrete, con buona ossigenazione”. Solo dopo l’infruttuoso tentativo da parte dell’imputata, “si verificò l’insorgenza di difficoltà respiratorie del paziente e le sue condizioni generali divennero critiche”.

Per la Cassazione, dunque, il medico non poteva ignorare i rischi evidenti di una manovra che, a detta dei periti dell’accusa, era sconsigliato tentare più di due volte.

Il solo fatto di essere a conoscenza dei rischi collegati ad un intervento deve indurre il medico alla prudenza. Pertanto, anche se si accertasse un’eventuale assenza di imperizia, resterebbe comunque in piedi la tesi dell’imprudenza.

La sentenza n. 33045 del 18 luglio 2018, quindi, anche se il reato è ormai prescritto, annulla l’assoluzione dell’imputata per un nuovo verdetto agli effetti civili, nel quale dovrà essere valutato anche il grado di colpa.

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