La Cassazione ha accolto il ricorso di una risparmiatrice contro la decisione con cui i giudici di merito avevano rigettato la sua domanda volta ad ottenere la restituzione di quanto investito in Cirio Bond.
Con sentenza n. 25845 del 14 ottobre 2019, la Prima sezione civile ha considerato fondati i motivi con cui la deducente aveva lamentato la violazione e falsa applicazione delle norme di cui al Decreto legislativo n. 58/1998 (TUF).
Nel dettaglio, la ricorrente aveva censurato la decisione di merito per avere, la Corte territoriale:
Motivi, questi, ritenuti dalla Suprema corte “connessi” e tali, quindi, da poter essere trattati congiuntamente.
Nella pronuncia, i giudici di Piazza Cavour hanno dapprima sottolineato come l’adeguatezza dell’operazione non possa fondarsi unicamente sulla profilatura raccolta dalla banca.
Essa dovrebbe desumersi dall’esame della situazione patrimoniale e delle pregresse operazioni, di essenziale rilevanza ai fini di delineare la propensione al rischio del cliente.
E nella vicenda in esame, la Corte non ha considerato condivisibile la statuizione con cui la Corte d’appello aveva ritenuto di trarre una valutazione di adeguatezza dell’operazione in relazione al profilo della cliente indicato nel modulo prestampato, con apposizione di crocetta nella relativa casella, privo di alcun elemento individualizzante da cui desumere che il profilo medesimo così delineato derivasse da specifici elementi, riferiti dal cliente o comunque in possesso della banca.
Questo in un contesto in cui, comunque, la stessa sentenza di merito aveva accertato una carenza informativa nei confronti della risparmiatrice, con violazione degli obblighi di cui agli artt. 21 e seguenti del TUF.
In tutto detto contesto la banca resistente avrebbe dovuto provare:
Ma nel caso in esame l’istituto di credito non aveva assolto al relativo onere probatorio, e ne era conseguita una carenza di informazioni su punti determinanti nella scelta dell’investimento.
Tuttavia, la Corte territoriale aveva escluso che potesse ritenersi acquisita la prova del nesso causale con il danno e tale conclusione è stata considerata, ora, dai giudici di legittimità, non conforme a diritto.
Secondo la Cassazione, infatti, in conseguenza della mancata rappresentazione degli elementi essenziali dell’investimento e dell’elevato grado di rischio ad esso associato, il nesso causale con il danno subito dall'investitore poteva ritenersi presunto.
E all'operatività del dovere di informazione – ha poi concluso la Corte - non era di ostacolo il fatto che il cliente avesse investito abitualmente in titoli finanziari, né che egli avesse in precedenza acquistato altri titoli a rischio, perché ciò non basta a renderlo "operatore qualificato" ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob.
Il profilo soggettivo del cliente, ove pure ne fosse dimostrata una particolare propensione al rischio “non può in ogni caso elidere il grave inadempimento della banca”.
La decisione impugnata, in definitiva, è stata cassata, con rinvio della causa ad altra sezione della medesima Corte d'Appello, anche per la regolazione delle spese del giudizio.
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