Cessione di azienda. Lo scostamento rispetto all'entrata accertata ai fini dell'imposta di registro legittima l'accertamento induttivo
Pubblicato il 12 ottobre 2013
Con la
sentenza n. 23115 depositata l'11 ottobre 2013, la Corte di cassazione, Sezione tributaria, ha accolto il ricorso presentato dall'Amministrazione finanziaria contro la decisione con cui la Commissione tributaria regionale aveva annullato un avviso di accertamento per maggiore Irpef notificato ad una contribuente in relazione ad una plusvalenza da cessione di azienda.
I giudici di secondo grado avevano giudicato ingiustificato l'importo quantificato dall'ufficio finanziario rispetto a quello dichiarato dalla parte in considerazione della circostanza che la cessione d'azienda era avvenuta nei confronti del coniuge e dei figli della contribuente, costituiti in società di persone. Così, in applicazione del principio di collaborazione e buona fede tra contribuente e amministrazione, il valore di avviamento dichiarato dalla contribuente era stato ritenuto rispondente alla realtà dei fatti.
Su quest'ultimo principio, la Suprema corte ha tuttavia precisato che lo stesso non può mai comportare il superamento o la omessa considerazione di circostanze accertate in giudizio e determinare la mancata applicazione del principio dell'onere della prova.
Ed in particolare, nel caso esaminato appariva rilevante l'omessa considerazione dell'accertamento ai fini dell'imposta di registro.
I giudici di Cassazione hanno quindi ricordato come, l'indicazione di un'entrata derivante dalla vendita di un bene, inferiore rispetto a quella accertata ai fini dell'imposta di registro, legittima di per sé l'amministrazione a procedere ad accertamento induttivo mediante integrazione o correzione della relativa imposizione, mentre spetta al contribuente che deduca l'inesattezza di una tale correzione superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato rispetto al valore di mercato, dimostrando di avere in concreto venduto proprio al prezzo indicato in bilancio.
Peraltro – conclude la Corte –
“l'ufficio, abilitato dalla legge ad avvalersi di presunzioni, può anche utilizzare una seconda volta gli stessi elementi probatori già utilizzati in precedenza e idonei secondo l'ordinamento a provare il fatto posto a base dell'accertamento”.