Ai sensi dell’art. 1655 c.c. l'appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.
Da notare che, giusto art. 29, D.Lgs. n. 276/2003, il contratto di appalto si distingue dalla somministrazione di lavoro per l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per l’assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa.
A tal fine l’istituto della certificazione può essere utile per distinguere un contratto di appalto genuino da una somministrazione irregolare di mano d’opera.
In questo contesto si inseriscono Linee Guida per la Certificazione dei contratti, emanate dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, in data 22 aprile 2016, che, tra le altre tipologie contrattuali analizzate, ha dedicato un apposito paragrafo alla certificazione dell’appalto.
Si ricorda che le procedure di certificazione possono essere utilizzate, sia in sede di stipulazione di appalto sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale, anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto.
Per certificare un contratto di appalto la Commissione di certificazione deve, per l’appunto, verificare in primis che l’appaltatore esegua l’opera o il servizio con “organizzazione dei mezzi necessari” e con “gestione a proprio rischio”, a favore di altro soggetto, verso il corrispettivo in denaro.
Affinché sussista la genuinità del contratto è necessario che l’appaltatore sia dotato di una propria struttura imprenditoriale effettivamente utilizzata per l’esecuzione dell’appalto.
Inoltre, a seguito dell’abrogazione dell’art. 1, comma 3, Legge n. 1369/1960, è venuta meno la presunzione legale assoluta di pseudo-appalto vietato nei casi in cui l’appaltatore faceva uso di capitali o strumenti del committente, a prescindere da ogni indagine circa l’effettiva sussistenza dei requisiti del contratto di appalto.
Attualmente, il fatto che l’appaltatore utilizzi capitali, macchine o attrezzature del committente, non determina automaticamente la qualificazione del rapporto come somministrazione di mano d’opera, a condizione però che sussistano effettivamente l’organizzazione dei mezzi ed il rischio d’impresa in capo all’appaltatore, il quale deve comunque esercitare in maniera effettiva ed esclusiva il proprio potere organizzativo e direttivo sul personale impiegato.
D’altra parte, come già evidenziato, l’art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003, indica espressamente che gli elementi cui si deve fare riferimento per qualificare il contratto sono:
Chiariscono a tal proposito i Consulenti del Lavoro, che il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei dipendenti dell’appaltatore deve essere esercitato esclusivamente dall’appaltatore o dai suoi dirigenti e/o preposti dell’appaltatore, mentre ai fini del coordinamento il committente si deve relazionare con l’appaltatore o con un referente da questi indicato.
E’ soprattutto negli appalti in cui non rileva l’utilizzo di attrezzature e macchinari, ma il know-how aziendale e/o l’organizzazione del lavoro da parte dell’appaltatore, che la Commissione di certificazione deve attribuire particolare importanza alla verifica della sussistenza del potere direttivo da parte dell’appaltatore e all’elemento della coerenza tra le mansioni esercitate dai lavoratori e l’opera o il servizio dedotto nel contratto d’appalto.
Inoltre, le mansioni che vengono svolte dai dipendenti dell’appaltatore devono essere funzionali esclusivamente alla realizzazione dell’opera o del servizio dedotti nel contratto di appalto.
Per quanto concerne il requisito del rischio d’impresa in capo all’appaltatore, la Commissione deve accertare che dal contratto risulti che l’appaltatore sia esposto all’eventuale risultato negativo dell’attività.
In generale il concetto di rischio si identifica nella possibilità per l’appaltatore di non riuscire a portare a compimento l’opera o il servizio, oppure di non riuscire a coprire tutti i costi dei macchinari, dei materiali e della manodopera impiegata nell’esecuzione del contratto in relazione al corrispettivo pattuito, a causa del sopraggiungere di eventi in grado di far aumentare le spese da sostenere.
Suggerisce la Fondazione Studi in proposito che, qualora il compenso pattuito con il committente sia commisurato al tempo di lavoro impiegato dai lavoratori per eseguire l’opera o il servizio, la Commissione dovrà verificare con particolare rigore la sussistenza degli altri requisiti dell’appalto genuino.
Ai sensi dell’art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento.
Ai sensi dell’art. 9, comma 1, D.L. n. 76/2013, convertito dalla Legge n. 99/2013 ,le suddette disposizioni trovano applicazione anche in relazione ai compensi e agli obblighi di natura previdenziale e assicurativa nei confronti dei lavoratori con contratto di lavoro autonomo.
Come evidenziato dalla circolare n. 35/2013 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il citato riferimento ai “lavoratori con contratto di lavoro autonomo” è riferito sostanzialmente ai collaboratori coordinati e continuativi e non anche ai lavoratori autonomi che sono tenuti in via esclusiva all’assolvimento dei relativi oneri.
Infine, particolare attenzione, sotto il profilo della solidarietà in materia di salute e sicurezza, dovrà essere posta, in sede di certificazione, anche alle disposizioni dell’art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008 e, soprattutto, al comma 5, il quale precisa che nei singoli contratti di subappalto e di appalto devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i costi relativi alla sicurezza del lavoro con particolare riferimento a quelli propri connessi allo specifico appalto.
Attenzione va, infine, posta alla certificazione degli appalti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti.
Si ricorda che, nel caso di specie, ai sensi dell’art. 2, DPR n. 197/2011, l’attività lavorativa può essere svolta unicamente da imprese o lavoratori autonomi qualificati in ragione del possesso dei seguenti requisiti che, quindi, vanno verificati dalla Commissione di certificazione:
Come peraltro sottolineato dalla Linee Guida per la certificazione, in relazione alle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati non è ammesso il ricorso a subappalti, se non autorizzati espressamente dal datore di lavoro committente e certificati ai sensi del D.Lgs. n. 276/2003.
Quadro delle norme |
Legge n. 1369/1960 D.Lgs. n. 276/2003 D.Lgs. N. 81/2008 DPR n. 197/2011 D.L. n. 76/2013 convertito dalla Legge n. 99/2013 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare n. 35/2013 Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, Linee Guida per la Certificazione dei contratti del 22 aprile 2016 |
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