Certificato medico trasmesso in ritardo? L'assenza non è priva di giustificazione

Pubblicato il 16 novembre 2022

E' stato rigettato, dalla Cassazione, il ricorso promosso da un'azienda contro la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa impartito ad un proprio dipendente.

A quest'ultimo era stato contestato di essere rimasto assente dal servizio senza alcuna giustificazione per sette giorni, omettendo di presentare documentazione giustificativa dell'assenza.

Assenza tardivamente giustificata? No al licenziamento per giusta causa

Con la contestazione disciplinare inoltrata al lavoratore - aveva rilevato la Corte d'appello, confermando la statuizione del Tribunale - la società aveva addebitato allo stesso una assenza ingiustificata, da intendersi come priva di una qualche documentazione che attestasse l'esistenza di una valida causa sospensiva dell'obbligo di rendere la prestazione.

In realtà, la giustificazione era stata inviata l'ottavo giorno.

Alla data del recesso, quindi, la certificazione medica era arrivata al datore di lavoro che, ciò nonostante, aveva proceduto con la sanzione espulsiva, giustificando che il prestatore era "risultato assente dal servizio senza giustificazione .... poiché non è ad oggi pervenuta alcuna certificazione medica volta a coprire il suddetto periodo di assenza".

Le disposizioni del CCNL applicabile non contenevano alcuna equiparazione tra assenza ingiustificata ed assenza di cui non sia stata tempestivamente comunicata la giustificazione.

Anzi, a ben vedere, la contrattazione collettiva disciplinava con due norme diverse l'assenza ingiustificata e la tardiva o irregolare giustificazione, nel primo caso sanzionandola con il licenziamento, nell'altro prevedendo la sanzione conservativa della multa.

Accertata, quindi, l'insussistenza del fatto addebitato - atteso che al momento del recesso la giustificazione era pervenuta al datore di lavoro - e che il contenuto della certificazione non era stato contestato quanto alla sua idoneità a giustificare l'assenza, la Corte territoriale aveva concluso per l'illegittimità del recesso in parola.

La datrice di lavoro si era rivolta alla Suprema corte, denunciando sia un vizio motivazionale sia una violazione delle disposizioni in tema di prova.

La ricorrente, in particolare, lamentava che i giudici di merito avevano errato nel non valutare che il certificato medico era stato tardivamente prodotto e risultava rilasciato ad oltre sette giorni di distanza dall'ultimo giorno di malattia coperto dal precedente certificato medico. Per la società, ossia, il medico non avrebbe potuto certificare retroattivamente la patologia del lavoratore.

La Corte di cassazione ha tuttavia giudicato inammissibili tali doglianze, per come si apprende dalla lettura della sentenza n. 33134 depositata il 10 novembre 2022.

Da un lato, infatti, le censure mosse finivano per prospettare una diversa ricostruzione del fatto del tardivo rilascio della certificazione da parte del medico curante, che la Corte territoriale aveva comunque preso in considerazione, ritenendolo irrilevante.

Dall'altro, quanto alla denunciata violazione delle disposizioni in tema di prova, gli Ermellini hanno rammentato come il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., operi interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità.

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