CdL. Esercizio abusivo della professione e illegittimità del sequestro preventivo

Pubblicato il 05 agosto 2014 La Cassazione Penale, con sentenza n. 34211 dell’1 agosto 2014, si è occupata di un caso di esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro svolto da alcuni soggetti all'interno di una società di intermediazione e selezione del personale che in realtà esercitava, oltre all’attività regolarmente autorizzata, anche ulteriori attività, quali:

- redazione dei contratti di assunzione;

- redazione buste-paga;

- gestione della chiusura dei rapporti di lavoro;

Stante quanto sopra, ai due soggetti era stato contestato il reato di cui all’art. 348 c.p., per avere, utilizzando tre società, abusivamente esercitato la professione di consulenti del lavoro per la quale è richiesta,- ai sensi dell'art. 1, comma 1, Legge n. 12/1979, una specifica abilitazione.

A ciò era seguito un primo sequestro preventivo della società principale e l'ulteriore sequestro preventivo delle altre 2 società collegate, con relativo sequestro di quote dei beni sociali ed altro, nonché delle quote della prima società, poiché era risultato che l'attività in questione era stata svolta, oltre che con la prima società già sequestrata, anche con le altre due, con le quali le attività erano sostanzialmente indistinte e svolte secondo una comune organizzazione.

Il sequestro era stato poi confermato dal Tribunale del riesame, ravvisandosi il pericolo della prosecuzione dell'esercizio abusivo della professione.

In particolare, la sentenza n. 34211/2014 ha affermato l’impossibilità di disporre e mantenere il sequestro senza avere accertato la sussistenza di un concreto e serio pericolo di prosecuzione dell’attività illecita, nonché per la mancata doverosa valutazione di proporzionalità ed adeguatezza della misura adottata, tanto più che non si trattava del primo sequestro ma dell’estensione del sequestro che aveva riguardato l’attività della società principale, estensione disposta proprio quando le parti avevano, invece, offerto elementi significativi per garantire il futuro rispetto dei limiti dell'attività aziendale autorizzata o, comunque, lo svolgimento delle date attività aggiuntive solo con la gestione diretta di consulenti del lavoro.

Nel caso di specie, conclude la Corte, vigendo anche per le misure cautelari reali il principio di adeguatezza e proporzionalità di cui all'art. 275 c.p.p., manca del tutto la necessaria valutazione ed attestazione della adeguatezza di una misura così estrema rispetto ad un’attività aziendale che di base è regolare o, comunque, senza individuare una tale ampiezza di quella svolta irregolarmente che possa giustificare un provvedimento di sequestro totale con conseguente inibizione anche delle attività lecite.
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