I membri del consiglio di amministrazione di una società di capitali possono essere ritenuti responsabili, sotto il profilo soggettivo, del delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose protrattesi nel tempo, quando il dissesto della società, come effetto di tali condotte illecite, divenga astrattamente prevedibile.
Questo in caso di fallimento derivato anche dalle citate operazioni dolose, in danno di soggetto diverso da una pubblica amministrazione ovvero di un ente pubblico, determinanti, nel breve periodo, un arricchimento del patrimonio sociale.
Inoltre, per affermare il concorso dei medesimi nella commissione del delitto di bancarotta per distrazione del patrimonio, commesso dal presidente del Cda, per inadempimento di costoro all’obbligo di impedire le distrazioni derivante dalla appartenenza al consiglio di amministrazione senza essere destinatari di deleghe gestorie, è necessaria la prova:
oppure,
Solo la prova della conoscenza del fatto illecito, ovvero della concreta conoscibilità dello stesso anche mediante l’attivazione dei poteri informativi di cui all’articolo 2381, ultimo comma, del Codice civile, in presenza di segnali specifici di distrazione, comporta l’obbligo giuridico degli amministratori privi di deleghe gestorie di intervenire per impedire il verificarsi dell’evento illecito.
La volontaria mancata attivazione di tali soggetti in presenta di queste circostanze determina, in conclusione, l’affermazione della loro penale responsabilità in quanto la relativa omissione ha contribuito a cagionare l’evento dannoso.
Sono questi i principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione, Prima sezione penale, nel testo della sentenza n. 14783 depositata il 3 aprile 2018.
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