Annullato, dalla Cassazione, un sequestro di bitcoin nell'ambito di un'indagine per evasione fiscale: evidenziata l’incongruenza del Tribunale nel considerare le criptovalute profitto diretto del reato e nel legittimare di fatto un sequestro per equivalente su un asset volatile e non assimilabile alla moneta legale.
Con la sentenza n. 1760 del 15 gennaio 2025, la Corte di Cassazione, Terza sezione penale, si è occupata di un caso di sequestro probatorio di criptovalute disposto nell’ambito di un procedimento per presunta evasione fiscale relativa all’anno d’imposta 2021.
La misura cautelare era stata inizialmente confermata dal Tribunale del riesame, che aveva respinto l’opposizione presentata dalla difesa.
Il ricorrente aveva contestato la legittimità del sequestro, ritenendo che le criptovalute non potessero essere equiparate al denaro avente corso legale e sottolineando che il Tribunale non avesse fornito una motivazione adeguata per giustificare la misura adottata.
La questione centrale ruotava intorno alla qualificazione giuridica delle criptovalute. Queste, secondo la difesa, non avrebbero potuto essere considerate profitto diretto del reato tributario, in quanto non costituiscono una valuta avente corso legale né possiedono le caratteristiche proprie del denaro, come il valore stabilizzabile e la capacità di estinguere obbligazioni.
Le criptovalute sono, infatti, soggette a una forte volatilità, che le rende inadatte a essere trattate alla stregua del denaro tradizionale.
Inoltre, la difesa ha evidenziato che il sequestro, pur formalmente qualificato come probatorio, aveva in realtà una natura equivalente, colpendo un asset digitale anziché il valore monetario corrispondente all’imposta presuntivamente evasa.
La Corte di Cassazione ha riconosciuto la fondatezza di tali argomentazioni, rilevando che l’ordinanza del Tribunale del riesame risultava carente di motivazione sotto due aspetti principali.
Da un lato, il Tribunale non aveva adeguatamente spiegato la finalità probatoria del sequestro, limitandosi a richiamare gli atti della polizia giudiziaria senza illustrare il contenuto specifico di tali documenti.
Dall’altro, non era stato approfondito il nesso di derivazione tra le criptovalute sequestrate e l’imposta evasa, che rappresentava il presunto profitto del reato contestato. In questo modo, vi era stata una mancata risposta alle obiezioni sollevate dalla difesa, rendendo la decisione insufficiente sul piano argomentativo.
La Corte ha quindi annullato l’ordinanza e rinviato il caso al Tribunale del riesame, richiedendo un nuovo esame che tenga conto delle criticità emerse.
Sintesi del caso | Sequestro probatorio di criptovalute legato a presunta evasione fiscale per l'anno 2021. Ordinanza confermata dal Tribunale del riesame. |
Questione dibattuta | Legittimità del sequestro delle criptovalute come "profitto del reato". Contestazione sulla natura delle criptovalute e sulla carenza di motivazione dell'ordinanza. |
Soluzione della Corte di Cassazione | Annullamento dell’ordinanza per carenza di motivazione. Necessità di un nuovo esame da parte del Tribunale del riesame, con approfondimento sul nesso tra criptovalute e reato. |
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".