E’ salva la caparra, che non perde dunque la sua funzione di rafforzamento del vincolo contrattuale, anche se l’assegno con cui si è inteso corrisponderla sia poi rivelato privo di provvista. Ciò poiché la funzione della caparra è assolta dalla sola messa a disposizione della somma e non anche dall'immissione della stessa nella disponibilità del destinatario.
E’ quanto confermato dalla Corte di Cassazione, sesta sezione civile, accogliendo in via definitiva l’istanza di un promissario acquirente, volta alla condanna del promittente venditore al pagamento del doppio della caparra, per recesso dal contratto preliminare avente ad oggetto la promessa di vendita di un immobile.
Richiesta dapprima respinta dalla Corte d’Appello, che dichiarava la risoluzione del preliminare in questione per mancato adempimento da parte del promissario acquirente (che aveva versato la caparra mediante assegno poi rivelatosi scoperto).
La Cassazione, tuttavia, capovolge detta posizione, affermando che l’assegno – con cui nella specie si è corrisposta la caparra – in quanto titolo pagabile a vista, si perfeziona, quale mezzo di pagamento, quando passa dalla disponibilità del traente a quella del prenditore.
Ne consegue che, ai fini della prova del pagamento quale fatto estintivo dell’obbligazione, è sufficiente che il debitore dimostri l’avvenuta emissione e consegna del titolo al creditore, incombendo invece su quest’ultimo la prova del mancato incasso. Prova che, pur essendo negativa, non si risolve tuttavia in una probatio diabilica, in quanto, avuto riguardo alla legge di circolazione del titolo, il possesso dello stesso da parte del creditore che lo ha ricevuto, implica il mancato pagamento.
Per cui, nel caso de quo – concludono gli ermellini con sentenza n. 24747 del 5 dicembre 2016 – la Corte d’Appello è insorta in violazione di legge, dato che con la consegna dell’assegno il contratto di caparra, quale contratto reale, si era già perfezionato.
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