Modifica orario di lavoro, il rifiuto può legittimare il licenziamento?

Pubblicato il 31 ottobre 2023

Le esigenze organizzative che sottostanno alla richiesta rivolta al dipendente di variazione dell’orario di lavoro non possono rilevare, di per sé, come ragione oggettiva - esclusiva ed autosufficiente - di licenziamento nel caso di rifiuto da parte del medesimo.

Ciò significherebbe, infatti, cancellare di fatto la protezione legale che consente al lavoratore di opporre un legittimo rifiuto alla proposta datoriale, rifiuto che non può trasformarsi in automatico presupposto del recesso.

D’altra parte, va escluso che possa essere precluso al datore di lavoro l’esercizio del recesso quando il rifiuto alla proposta di trasformazione entri in contrasto con le ragioni di carattere organizzativo che possono integrare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento.

Giustificato motivo oggettivo, onere prova al datore

In tale ipotesi, però, il datore di lavoro è tenuto a dimostrare:

Serve, ossia, in sintonia con la stessa nozione generale di giustificato motivo oggettivo, che sia impossibile un ripescaggio aliunde del lavoratore, impossibilità che deve essere dimostrata in giudizio dal datore di lavoro, la cui condotta - al pari di quella del lavoratore - deve comunque essere improntata  - e, dunque, valutata - alla luce delle clausole generali di correttezza e buona fede, le quali possono costituire utile parametro per un controllo sulla discrezionalità gestionale del datore di lavoro.

Quando si tratti, poi, di un'area, quale quella del part time, sottoposta ad una rigorosa regolamentazione normativa, la scelta datoriale deve tener conto delle particolari esigenze sociali che sono a fondamento della stessa.

Una prova di questa natura è idonea a realizzare l’equo contemperamento degli interessi delle parti che risultano regolati pattiziamente nella disciplina oraria del part time.

La previsione di cui all’art. 8 co. 1 D. lgs. n. 81/2015, così, non preclude la facoltà di recesso per motivo oggettivo in caso di rifiuto del part time (o viceversa del full time), ma comporta una rimodulazione del giustificato motivo oggettivo e dell’onere della prova posto a carico di parte datoriale.

Licenziamento dopo il no al part-time, legittimo?  

E' quanto puntualizzato dalla Corte di cassazione con sentenza n. 30093 del 30 ottobre 2023, pronunciata in ordine alla vicenda di una lavoratrice che aveva impugnato il licenziamento intimatole per giustificato motivo oggettivo a seguito del rifiuto di accettare la modifica della collocazione dell’orario di lavoro part-time propostole dalla datrice di lavoro.

Sulla questione, gli Ermellini hanno ricordato quanto enunciato dalla medesima Cassazione la recente ordinanza n. 12244/2023 in caso di rifiuto della trasformazione del rapporto da full time a part time.

Il dipendente - si legge nella decisione - può essere legittimamente licenziato solo se il recesso non è stato intimato a causa del diniego opposto, ma in ragione dell’impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo pieno per effettive ragioni economiche dimostrate dal datore di lavoro.

E’ necessaria, quindi, non solo la prova dell’effettività delle ragioni addotte per il cambiamento dell’orario ma anche quella della impossibilità di un utilizzo altrimenti della prestazione, con modalità orarie differenti, quale componente/elemento costitutivo del GMO.

Licenziamento per rifiuto di full time  

Nei giorni scorsi - si rammenta - la medesima Cassazione era invece intervenuta in una vicenda in cui, all'opposto, il rifiuto del dipendente riguardava il passaggio da part time a full time, pronunciandosi in continuità con i principi sopra enunciati e anche ora ribaditi.

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