Bonus R&S. La gestione applicativa del software non rientra nel beneficio

Pubblicato il 03 aprile 2019

L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 40 del 2 aprile 2019, torna a delimitare l'ambito oggettivo di applicazione del credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo, di cui all’articolo 3 del Decreto legge n. 145/2013.

Lo fa rispondendo ad un’istanza di interpello avanzata da una società operante nel settore delle comunicazioni, che chiedeva all’Amministrazione finanziaria di valutare l’ammissibilità al beneficio di un progetto d’investimento avente ad oggetto attività ascrivibili in senso ampio alla gestione applicativa di un software.

Nel fornire la sua risposta, l’Agenzia riporta l’articolato parere tecnico reso dal Ministero dello Sviluppo economico sull’argomento.

Bonus R&S, parere tecnico del MiSE

Il MiSE ricorda che l’individuazione delle attività ammissibili al beneficio fiscale ricalca le definizioni di “ricerca fondamentale”, “ricerca applicata” e di “sviluppo sperimentale”, a loro volta mutuate da quelle adottate a livello internazionale secondo i criteri fissati dall’Ocse nel cosiddetto “Manuale di Frascati”.

I criteri di classificazione indicati nel suddetto Manuale di Frascati assumono rilevanza, in via di principio, al fine di stabilire se le attività per le quali viene richiesto il beneficio del credito d'imposta soddisfino i requisiti sostanziali per rientrare in una delle tre categorie di ricerca e sviluppo corrispondenti richiamate.

Secondo tali criteri, si può sinteticamente ricordare che – con riguardo al settore delle imprese commerciali – rilevano, ai fini del beneficio, le attività riguardanti progetti intrapresi per il superamento di una o più incertezze scientifiche o tecnologiche la cui soluzione non sarebbe possibile sulla base dello stato dell’arte del settore di riferimento e cioè applicando le tecniche o le conoscenze già note.

Si tratta, quindi, di attività (lavori) che necessariamente si caratterizzano per la presenza di elementi di novità e creatività e per il grado di incertezza o rischio d'insuccesso scientifico o tecnologico che implicano.

Ne deriva – prosegue il MiSE – che: “nel campo di applicazione del credito d'imposta non rientrano automaticamente tutte le attività di tipo innovativo che l'impresa intraprende, ma esclusivamente quelle che, nell'ambito del più ampio processo d'innovazione, si caratterizzino per la presenza di reali contenuti di ricerca e sviluppo secondo i criteri di classificazione e qualificazione noti”.

Bonus R&S, le innovazioni di processo sono escluse dal beneficio

Alla luce di tali considerazioni, è evidente che, nel caso prospettato all’Agenzia delle Entrate, tali caratteristiche innovative non vengono riscontrate, in quanto le attività della società istante, pur rappresentando investimenti innovativi, funzionali, se non necessari, per l’efficientamento dei processi di produzione dei servizi dalla stessa realizzati, si sostanziano nell’applicazione di moderne tecnologie già note e già introdotte anche nel settore di appartenenza e si ricollegano, in senso ampio, alla “digitalizzazione” dei processi di produzione.

Pertanto, la risoluzione n. 40/E, in linea con il parere tecnico del MiSE, precisa che dette attività non rientrano tra quelle di ricerca e sviluppo nell’accezione rilevante agli effetti dell’applicazione del credito d’imposta, in quanto, pur potendo presentare varianti rispetto alle alternative già esistenti sul mercato, si basano, comunque, sull’utilizzo di strumenti e tecnologie già ampiamente diffuse anche nello stesso settore in cui opera l’impresa.

Inoltre, secondo quanto ribadito anche dal Ministero, questi investimenti sono più propriamente inquadrabili nella categoria “innovazione di processo” e, in quanto tali, non sono agevolabili agli effetti della disciplina del credito di imposta, così come espressamente previsto nella comunicazione della Commissione Ue 2014/C 198/03, che esclude le “innovazioni di processo” dalle fattispecie ammissibili al beneficio.

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