La consumazione del delitto presupposto, da sola, non integra anche la diversa ipotesi dell’autoriciclaggio: l’eventuale atto distrattivo, ossia, non può configurarsi allo stesso tempo come bancarotta per distrazione e come autoriciclaggio.
Perché possa dirsi commesso anche il delitto di autoriciclaggio è infatti necessario che vengano poste in essere, dopo la consumazione del reato presupposto, ulteriori condotte aventi natura decettiva.
E’ quanto previsto dal legislatore al fine di evitare la doppia punibilità della stessa condotta.
Così la Seconda sezione penale della Corte di cassazione, nel testo della sentenza n. 44198 del 30 ottobre 2019.
Gli Ermellini, nel caso in esame, hanno rigettato il ricorso promosso dal Pm contro una decisione di rigetto della richiesta di sequestro preventivo per equivalente, per ritenuta insussistenza del fumus delicti commissi, in relazione al reato di cui all’articolo 648-ter Codice penale, contestato all’indagato.
L’indagine aveva avuto ad oggetto un contratto di affitto per cui l’azienda dell’impresa poi fallita era passata ad una società costituita ad hoc dagli stessi proprietari.
Per la Cassazione, la valutazione effettuata dal GIP, in punto di assenza di condotta punibile, era da ritenere condivisibile: la stipula di un simulato contratto di affitto d’azienda, integrando un atto distrattivo del patrimonio sociale divenuto punibile a seguito della declaratoria di fallimento, non poteva integrare, allo stesso tempo, anche la condotta illecita di autoriciclaggio.
Quest’ultima – è stato ribadito - per la sua punibilità, richiede il compimento di ulteriori atti diretti alla dissimulazione dell’oggetto materiale del reato.
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