Niente IRAP se l’avvocato eroga compensi ai colleghi che prestano la loro attività, in via autonoma e occasionale, quali domiciliatari.
La Cassazione ha accolto il ricorso presentato da un avvocato a cui i giudici di merito avevano negato il diritto al rimborso dell'IRAP versata per tre annualità.
Il professionista aveva fondato la propria pretesa sul presupposto che l'imposta non fosse dovuta poiché l'attività di legale era stata svolta a livello individuale, con pochi mezzi e strutture lavorative limitate.
La CTP, per contro, aveva ritenuto che la documentazione prodotta in giudizio dal contribuente non consentisse di escludere l'esistenza dell'autonoma organizzazione richiesta per la sottoposizione all'imposta in oggetto.
Conclusioni confermate anche in secondo grado, posto che la CTR aveva sottolineato che, non essendovi prova che il contribuente avesse svolto la propria attività avvalendosi di organizzazione altrui, si doveva evincere che l'avesse esercitata in assoluta autonomia.
Per la Commissione regionale, inoltre, non era stata nemmeno dimostrata l'occasionalità dei redditi percepiti mentre il rapporto tra i ricavi dell'attività professionale e le spese dimostravano l'esistenza di una adeguata organizzazione volta al conseguimento di un valore aggiunto derivante da una autonoma attività professionale soggetta a IRAP.
Contro queste statuizioni, il legale aveva avanzato ricorso in sede di legittimità lamentando, tra gli altri motivi, il fatto che la CTR avesse omesso di esaminare la documentazione allegata a una delle memorie illustrative da lui depositate in primo grado, dalla quale emergeva che i terzi cui egli aveva erogato dei compensi non erano suoi collaboratori abituali e continuativi, bensì professionisti, quali notai e avvocati di altri fori, che avevano prestato la loro attività, in via autonoma ed occasionale, quali domiciliatari.
Motivo ritenuto fondato dalla Sezione tributaria civile della Corte di cassazione, la quale, con ordinanza n. 719 del 15 gennaio 2019, ha evidenziato come, nella specie, gli elementi tenuti in considerazione dai giudici di secondo grado fossero “neutri” o, addirittura, di per sé “irrilevanti”.
A ben vedere, la motivazione su cui la sentenza si fondava risultava meramente apparente.
Questo senza contare che la CTR aveva omesso di valutare i documenti richiamati dal ricorrente, documenti che, con certezza, avrebbero potuto incidere sulla decisione finale, nel senso di escludere il ricorso ad una collaborazione abituale e continuativa e, dunque, a uno dei requisiti indefettibili per configurare l'autonoma organizzazione in capo all'avvocato.
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