Avvocato in lite per utenza dello studio? No a foro del consumatore

Pubblicato il 27 settembre 2018

Secondo le norme del Codice del consumo ed ai fini della relativa applicabilità, è atto compiuto dal professionista non solo quello che costituisce di per sé esercizio della professione, ma anche quello legato alla professione da un nesso funzionale.

Atto "della professione" secondo il Codice del consumo

Così, per l’avvocato, costituisce “atto della professione” non solo la stipula con il cliente del contratto di mandato o di consulenza, ma anche la stipula di tutti i contratti necessari o utili per il compimento della propria attività professionale.

Tra questi, rientra l’acquisto di testi giuridici, la stipula di un’assicurazione della responsabilità civile professionale, l’appalto di servizi di pulizia nonchè la somministrazione della luce, gas o servizi telefonici per lo studio professionale.

Ne consegue che per tutti questi atti, il legale non può beneficiare della disciplina prevista per i contratti stipulati dal consumatore, né, quindi, del foro del luogo del proprio domicilio.

Per come ricordato dalla consolidata giurisprudenza, infatti, per assumere la qualifica di professionista ai sensi e ai fini di cui all’articolo 3 del Decreto legislativo n. 206/2005 (Codice del consumo), non è necessario stipulare un contratto che costituisca di per sé esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione.

Basta, ossia, che il contratto sia volto a soddisfare interessi anche solo connessi o accessori allo svolgimento della propria attività imprenditoriale o professionale.

Legale non è consumatore per contratto connesso ad attività professionale

Lo ha precisato la Corte di cassazione nel testo dell’ordinanza n. 22810 del 26 settembre 2018, con la quale è stata annullata una decisione di merito, pronunciata nell’ambito di una controversia attivata da un avvocato contro una compagnia telefonica.

Nel dettaglio, la Corte d’appello aveva ritenuto che, nel caso in esame, dovesse applicarsi il cosiddetto “foro del consumatore”, ovvero il foro del luogo di domicilio dell’attore.

Statuizione ribaltata dalla Suprema corte la quale, alla luce dei principi ricordati e del fatto che l’utenza telefonica in contestazione era quella relativa allo studio del professionista, ha dichiarato l’erroneità delle conclusioni della Corte di gravame.

Secondo i giudici di legittimità, in definitiva, andava escluso che il legale avesse assunto, nella specie, la veste di consumatore, tanto da poter invocare il foro del proprio domicilio.

Quando il professionista è consumatore

In altre vicende, in cui la lite riguardava un contratto estraneo alla attività professionale, la Cassazione ha, per contro, riconosciuto la qualifica di “consumatore” anche al professionista.

Si ricordano le sentenze la n. 5705/2014 con cui è stato ritenuto consumatore l'avvocato che aveva contratto un contratto di mutuo per l'acquisto di un autoveicolo a uso personale, la n. 1464/2014, pronunciata a favore di un ingegnere nell'ambito di una controversia tra lo stesso ed il proprio legale al fine di sentir accertare la responsabilità professionale di quest'ultimo.

Per finire, si rammenta l’ordinanza n. 14679/2012, in cui è stata adottata la disciplina del Codice di consumo nell’ambito della causa tra un professionista ed un istituto di credito, avente ad oggetto il recupero del saldo negativo del conto corrente assistito da apertura di credito e che il primo assumeva essere "ad uso personale".

In questa, la Cassazione ha ritenuto che fosse da applicare il foro del professionista-consumatore, posto che la banca non aveva dimostrato il legame del conto all’attività professionale del cliente.

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