Nella quantificazione delle spese processuali, il giudice di merito è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi.
Rimane fermo, in ogni caso, che il superamento dei valori minimi stabiliti in forza delle percentuali di diminuzione incontra il limite dell'articolo 2233, comma 2, c.c., il quale preclude di liquidare somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione, nel nostro caso forense.
E’ quanto ricordato dalla Corte di cassazione nel testo dell’ordinanza n. 705 del 15 gennaio 2020, pronunciata in accoglimento di un ricorso avanzato in sede di legittimità a motivo di una liquidazione delle spese processuali che la Corte d'Appello aveva operato in misura inferiore ai minimi dettati dalla Tabella 12 del DM. n. 55/2014, nell’ambito di una causa per equa riparazione.
Gli Ermellini hanno inteso ribadire come, in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al DM n. 55/2014, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscano “criteri di orientamento”, individuando la misura economica standard del valore della prestazione professionale.
Nel caso esaminato, la liquidazione disposta dalla Corte di appello in complessivi 203 euro, senza dare alcuna adeguata motivazione, rappresentava una globale determinazione dei compensi calcolata in misura notevolmente inferiore a quelli minimi di cui alla tabella 12 ricordata, pur applicata la riduzione massima in ragione della speciale semplicità dell'affare.
Da qui, la necessità di un nuovo esame sullo specifico punto.
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