Autoriciclaggio ad ampi confini

Pubblicato il 08 settembre 2017

La Corte di Cassazione, seconda sezione penale, ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere a carico dell’amministratore di una società accusato di autoriciclaggio – reato presupposto, bancarotta per distrazione – per aver realizzato delle complesse operazioni societarie e movimenti bancari al fine di gestire somme di provenienza illegale. Autoriciclaggio, secondo la Corte, anche se i proventi illeciti erano stati reinvestiti e non reimpiegati per fini personali.

Sotto esame dei giudici, in particolare, alcune specifiche condotte dell’amministratore, per cui, dopo aver collocato sul mercato le azioni di una società quotata controllata, ne aveva destinato i ricavi alla controllante, con operazioni che apparivano del tutto estranee a qualsiasi criterio di corretta gestione infragruppo, visto che l’immediata conseguenza era stata la totale depatrimonializzazione della controllata.

Autoriciclaggio, anche in maniera frammentata e progressiva

Orbene la Corte evidenzia che le vicende esaminate e gli intrecci societari disposti dall’indagato, hanno disperso in diversi passaggi, e dilatato nel tempo, il reimpiego delle somme derivanti dalla vendita delle azioni e che detta frammentazione avrebbe potuto non solo ostacolare le indagini, ma la stessa configurabilità dell’autoricilaggio.

Tuttavia gli stessi Ermellini sottolineano – con sentenza n. 40890 del 7 settembre 2017 – come la fattispecie ex art. 648 ter c.p., ben può essere realizzata anche con modalità protratte nel tempo, quando il suo autore, come nel caso esaminato, la progetta e la esegue in maniera frammentata e progressiva.

 

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