Il datore di lavoro non può licenziare per giusta causa un proprio dipendente in tutti i casi in cui quest’ultimo non si reca sul posto di lavoro senza motivazione. La sanzione disciplinare, ossia l’adozione dell’extrema ratio, deve mantenere il principio della “proporzionalità” rispetto al fatto di cui si è reso protagonista il lavoratore.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3283 dell’11 febbraio 2020. Nel caso di specie, una lavoratrice si era assentata dal lavoro per una durata di cinque giorni a causa di un incidente subito dal proprio partner, al quale ha prestato assistenza nei giorni di assenza.
La società datrice di lavoro, condannata in secondo grado di giudizio a corrispondere l'indennità sostitutiva della reintegra, ricorre in Cassazione evidenziando come sia proprio il contratto collettivo applicato al rapporto a prevedere il licenziamento in tronco nei casi di assenza ingiustificata per un periodo di durata superiore a cinque giorni.
Tuttavia, anche laddove sia il CCNL stesso a elencare specifici casi in cui il datore di lavoro può procedere con il licenziamento per giusta causa è comunque compito del giudice verificare il principio di “proporzionalità” tra il fatto di cui si è reso protagonista il lavoratore e il provvedimento adottato verso quest’ultimo.
Per stabilire se un licenziamento intimato al lavoratore per giusta causa sia considerato legittimo o meno, il giudice deve innanzitutto verificare se esista in effetti un inadempimento degli obblighi contrattuali di tale gravità da non consentire la prosecuzione neppure temporanea del rapporto di lavoro. Quindi, il datore di lavoro può sì licenziare in tronco il proprio dipendente qualora venga meno il “vincolo fiduciario” tra le parti, tuttavia una simile lesione non può che discendere da fatti “di non scarsa importanza”.
Cosa significa? Ebbene, affinché il licenziamento in tronco sia considerato genuino occorre che il fatto commesso dal lavoratore abbia arrecato un danno al datore di lavoro talmente grave da fargli dubitare la possibilità di proseguire il rapporto lavorativo.
In definitiva, da una parte, i giudici hanno riconosciuto il disvalore della condotta posta in essere dalla dipendente, con la necessità di sanzionarla comunque a livello disciplinare; d’altra parte, hanno sollevato una mancanza di proporzionalità tra la condotta del lavoratore e il provvedimento adottato dal datore di lavoro. La lavoratrice, infatti, si era assentata per compiere un generale dovere di assistenza.
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