La banca negoziatrice che ha pagato un assegno non trasferibile a persona diversa dall’effettivo prenditore può, comunque, provare che l’inadempimento non è a lei imputabile, per aver assolto alla propria obbligazione con la dovuta diligenza, diligenza che nasce, ai sensi dell’articolo 1176, secondo comma, Codice civile, dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di danno lieve.
Non può dirsi sussistere, infatti, una responsabilità oggettiva dell’istituto di credito, ossia a prescindere della sussistenza dell’elemento della colpa nell’identificazione del prenditore, e ciò, posta la riconduzione della sua eventuale responsabilità nell’alveo di quella contrattuale derivante da contratto qualificato.
Una responsabilità di tipo oggettivo, ciò posto, può concepirsi solo laddove difetti un rapporto “contrattuale” fra danneggiante e danneggiato, ed il primo sia chiamato a rispondere del fatto dannoso nei confronti del secondo.
E’ quanto evidenziato dalle Sezioni Unite civili di Cassazione nel testo della sentenza n. 12477 del 21 maggio 2018, con la quale è stato risolto un contrasto interpretativo esistente in materia.
I giudici di Piazza Cavour, in particolare, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui, ai sensi dell'articolo 43, 2° comma, “Legge assegni”, la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato - per errore nell'identificazione del legittimo portatore del titolo - dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall'effettivo beneficiario, “è ammessa a provare che l'inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall'art. 1176, comma 2, c.c.”.
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