Con un’epocale sentenza concernente la determinazione dell’assegno di divorzio da parte del giudice, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, ha “licenziato” il parametro, sino ad ora impiegato, del “tenore di vita” tenuto dal coniuge destinatario dell’assegno in costanza di matrimonio, in quanto va a collidere con la stessa natura del divorzio.
Si è difatti osservato che la sentenza di divorzio (a differenza di quella di separazione) estingue il rapporto matrimoniale sia sul piano personale che su quello economico – patrimoniale. Sicché ogni riferimento a tale rapporto, finisce illegittimamente per ripristinarlo – sia pure limitatamente alla dimensione economica – in una prospettiva di indebita ultrattività del vincolo matrimoniale.
Così argomentando, la Corte Suprema manifesta l’esigenza di superare la concezione patrimonialistica, ormai anacronistica, di matrimonio quale sistemazione definitiva. Per cui, aderendo invece all'attuale concezione di divorzio come espressione di scelta esistenziale libera e consapevole, un’interpretazione delle norme sull'assegno divorzile che produca l’effetto di procrastinare a tempo indeterminato la recisione degli effetti economico – patrimoniali del vincolo coniugale, non può che tradursi in un effettivo ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia, successivamente alla disgregazione della precedente.
Deve dunque ritenersi – proseguono gli ermellini – che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale, in quanto l’interesse essenzialmente tutelato, con l’attribuzione dell’assegno divorzile, non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex, ma il raggiungimento dell’indipendenza economica (funzione esclusivamente assistenziale).
In conclusione, rammenta la Corte, il giudice del divorzio a cui è richiesto l’assegno, nel rispetto della distinzione del giudizio in due fasi, deve:
Orbene nel caso qui sottoposto alla Suprema Corte, una donna si era opposta alla mancata concessione dell’assegno divorzile dopo la separazione dal marito assai benestante, invocando proprio il criterio della conservazione del tenore di vita in costanza di matrimonio. Deduzioni tuttavia respinte dai giudici di legittimità – con sentenza n. 11504 del 10 maggio – che hanno confermato la mancata spettanza dell’assegno, in quanto l’attrice non aveva assolto l’onere di provare la sua non indipendenza economica; laddove, al contrario, era emerso che la stessa, imprenditrice, aveva un’elevata qualificazione professionale, titoli di alta specializzazione ed importanti esperienze professionali che ben le avrebbero consentito di raggiungere la suddetta indipendenza.
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