Il minore può essere collocato presso il padre se ciò corrisponde alla sua dichiarata volontà, pur in presenza di Ctu che consigli il contrario, redatta tuttavia senza aver ascoltato il piccolo.
E’ quanto affermato dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 3173 del 10 luglio 2015, rigettando le istanze di una madre avverso la pronuncia con cui il Tribunale, nel pronunciare la separazione tre lei ed il marito, aveva contestualmente disposto l’affido condiviso del figlio minore ed il collocamento di quest’ultimo presso il padre, sulla base delle preferenze espresse dallo stesso minore.
Il giudice – argomenta la Corte - ha infatti l’obbligo di sentire i minori in tutti i procedimenti che li concernono, al fine di raccoglierne le opinioni, le esigenze e le volontà; obbligo prescritto a pena di nullità, salvo che il giudice non motivi espressamente circa la non corrispondenza dell’ascolto alle superiori esigenze del minore stesso
La motivazione della Corte, nel caso de quo, risulta tutta incentrata sull'ascolto del minore, (le cui modalità venivano censurate dall'appellante) per cui si coglie l’occasione per una breve disamina sull'argomento.
Il principio dell’ascolto del minore è stato definitivamente sancito nel nostro ordinamento dall’art. 315 bis comma 3 c.c. – introdotto con Legge 219/2012 – che riconosce al figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici (e anche di età inferiore ove abbia capacità di discernimento) il diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
La norma sopra citata, dalla portata innovativa, ha rappresentato al contempo un punto di arrivo ed un punto di partenza di un percorso lungo e faticoso di emancipazione del minore, da oggetto di protezione all'interno della famiglia a soggetto di diritti. Ed è un punto di arrivo, laddove per la prima volta il legislatore nazionale, sotto la spinta europea ed internazionale, ha elevato il minore a vero e proprio titolare del diritto a fare sentire la sua voce in tutte le questioni che lo riguardano.
Ma anche prima che fosse introdotto l’art. 315 bis c.c., il diritto alla comunicazione ed all'ascolto del bambino era (ed è tuttora) rinvenibile in altre disposizioni del codice civile, quale ad esempio l’art. 145, comma 1 c.c. che nei casi di disaccordo dei genitori (sull'indirizzo della vita familiare e della residenza) prevede di sentire le opinioni dei figli ultra sedicenni o l’art. 316 comma 3 c.c. che contempla l’ascolto del minore che abbia compiuto i dodici anni per i casi di contrasto tra i genitori nell'esercizio della potestà.
Si tratta di alcune disposizioni codicistiche a titolo esemplificativo, ma ve ne sono anche altre che prevedono l’ascolto diretto del minore da parte del Giudice tutelare o l’ascolto delegato ai servizi sociali quando devono essere compiuti atti di disposizione sul patrimonio del minore o si devono assumere provvedimenti che incidano sulla sua sfera personale (si veda ad es. l’art. 371 c.c. che prevede l’ascolto del minore che abbia compiuto gli anni dieci circa il luogo in cui deve essere allevato o avviato agli studi ed al lavoro).
Anche nella procedura di adozione la volontà del minore quattordicenne (e in alcuni casi anche dodicenne o di età inferiore se ha capacità di discernimento sufficiente) appare spesso decisiva, soprattutto in conseguenza delle modifiche apportate dalla Legge 149/2001 alla Legge 184 del 1983 (si veda in proposito Corte di Cassazione, sentenza n. 11890/2015, secondo cui in tema di dichiarazione dello stato di adottabilità, l’ascolto del dodicenne o anche di età inferiore con capacità di discernimento, costituisce modalità tra le più rilevanti di riconoscimento del suo diritto fondamentale a essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano).
In materia di separazione e di divorzio, occorre rilevare che il nuovo art. 315 bis c.c. ha esteso l’ascolto del minorenne ad ogni procedimento che lo riguarda, a prescindere dall'oggetto. Ha dunque valenza generale, con l’effetto di aver reso superflue le disposizioni preesistenti (l’art. 155 sexies c.c. è stato difatti abrogato).
Da notare ancora che nella formulazione dell’art. 315 bis comma 3 c.c. il legislatore ha utilizzato per la prima volta – e non a caso – il termine “ascolto” del minore, piuttosto che “audizione”.
E ciò è piuttosto significativo se solo si pensi che “ascoltare” significa (a differenza che semplicemente “sentire”) prestare attenzione alle esigenze del minore, con disponibilità da parte di chi ascolta a modificare le proprie opinioni a seguito dell’ascolto medesimo, che deve avvenire in un contesto adeguato.
L’ascolto non è, dunque, un mezzo istruttorio, poiché attraverso di esso si realizza il diritto del minore a far sentire la propria voce, consentendo al Giudice di conoscere il destinatario delle proprie decisioni e di modulare tali decisioni, tenendo conto delle sue opinioni.
Ma l’ascolto si differenzia anche dalla testimonianza, in quanto non è rivolto all'accertamento dei fatti, bensì alla persona del minore, costituendo una manifestazione di opinioni ed emozioni ed estrinsecandosi in una attività con finalità di comprensione partecipe.
Con l’introduzione del citato art. 315 bis comma 3 c.c., il legislatore italiano si è definitivamente adeguato alle disposizioni sopranazionali che già da tempo contemplano il diritto del minore all'ascolto, ed in particolare:
Soprattutto dopo l’entrata in vigore dell’art. 155 sexies (ora abrogato per effetto del D.Lgs 154/2013) la giurisprudenza ha avuto più volte occasione di pronunciarsi in proposito. Ed in particolare le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato come debba ritenersi necessaria l’audizione del minore del cui affidamento deve disporsi, salvo che tale ascolto possa essere in contrasto con i suoi interessi fondamentali e dovendosi motivare l’eventuale assenza di discernimento dei minori che possa giustificarne l’omesso ascolto (Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza n. 22238 del 21 ottobre 2009).
Nella fattispecie oggetto dell’intervento delle Sezioni Unite, in particolare, la Corte ha affermato che l’audizione dei minori nelle procedure che li riguardano ed in ordine al loro affidamento ai genitori, è divenuta obbligatoria con l’art. 6 della sopra citata Convenzione di Strasburgo sui diritti del fanciullo del 1996 (si veda anche Corte di Cassazione, sentenza. 16 aprile 2007 n. 9094 e sentenza n. 6081 del 18 marzo 2006), per cui ad essa deve procedersi, salvo che possa arrecare danno al minore stesso, come risulta dal testo della norma sovranazionale e dalla stessa giurisprudenza (si veda ancora Corte di Cassazione, sentenza n. 16753/2007).
Più di recente la Corte Suprema ha avuto modo di precisare come l’ascolto del minore costituisca una modalità tra le più rilevanti di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato e ad esprimere la propria opinione o le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano, costituendo tale peculiare forma di partecipazione del bambino alle decisioni, uno degli strumenti di maggiore incisività al fine del conseguimento del suo interesse (si vedano Corte di Cassazione, sentenza n. 6129 del 26 marzo 2015 e conformi, sentenze n. 11687/2013 e n. 5547/2013);
Tale prioritario rilievo – prosegue la Corte - non determina tuttavia l’obbligo del giudice di conformarsi alle indicazioni del minore in ordine al modo di condurre la propria esistenza, potendo la valutazione complessiva del suo superiore interesse condurre a discostarsi da esse.
E’ tuttavia ineludibile una puntuale giustificazione della decisione assunta in contrasto con le dichiarazioni del minore, sia sotto il profilo della capacità effettiva di discernimento - anche in correlazione con l’eventuale intensità del conflitto genitoriale e la sua influenza o condizionamento della volontà espressa nell'audizione - sia sotto il profilo del richiamato preminente interesse. (Corte di Cassazione, sentenza n 6129/2015 e conforme, sentenza n. 13241/2011). D’altra parte, sulla possibilità che il giudice, nell'obiettivo di realizzare più compiutamente l’interesse del minore, si discosti dalle opinioni espresse in sede di audizione, la Cassazione si è espressa più volte, tra cui con sentenza n. 7773/2012, ove ha ritenuto sussistente un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore (si veda in proposito anche sentenza Cedu del 9 agosto 2006).
In ogni caso – hanno precisato ancora gli ermellini – prima di procedere all'ascolto del minore, il giudice deve sempre valutare che quest’ultimo non sia esposto, in conseguenza della sua audizione, al presumibile danno derivante dal coinvolgimento emotivo nella controversia che opponga i suoi genitori (si veda Corte di Cassazione, sentenza n. 13241/2011).
Quanto all'età, la Corte ha precisato che nei procedimenti di divorzio, ove vi siano figli minori, vale inderogabilmente la regola dell’ascolto del minore che abbia compiuto gli anni dodici ed esclusivamente nel giudizio di primo grado, mentre tale obbligo non vale per gli infradodicenni, qualora il giudice lo ritenga nocivo (Corte di Cassazione, sentenza n. 15143/2014).
Tornando al caso di specie, la Corte d’appello di Napoli, a fronte delle censure avanzate dalla ricorrente, ha rilevato che l’esame del minore condotto dal giudice a quo è stato svolto secondo i dettami ed i principi regolanti la materia, consentendo peraltro al Tribunale di adottare agevolmente la decisione nell'interesse del minore.
E proprio circa le modalità dell’ascolto – ricordano i giudici in tale contesto – la Corte Suprema ha più volte ribadito che l’ascolto medesimo non rappresenta una testimonianza o un atto istruttorio, volto ad acquisire una risultanza favorevole ad una o ad un’altra soluzione, bensì un momento formale del procedimento volto a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto (nella specie il minore ha scelto di risiedere presso il padre).
Pertanto l’ascolto deve svolgersi in modo tale da garantire l’esercizio effettivo del diritto del minore ad esprimere liberamente le proprie opinioni e quindi, con tutte le cautele e modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti, ivi compresa la facoltà di vietare l’interlocuzione con i genitori o i difensori, con possibilità di sentire il minore da solo (Corte di Cassazione, sentenza n. 12739/2011; n. 7282/2010). Ciò che è avvenuto esattamente nella vicenda in esame, ove il minore (la cui capacità di discernimento non è stata messa in dubbio) ha fornito risposte “in modo semplice, logico e coerente, senza lasciar trapelare alcuna incertezza e/o condizionamento”.
Quadro Normativo 1.Corte d’Appello di Napoli, sentenza n. 3173 del 10 luglio 2015; 2.Legge n. 219/2012; 3. art. 315 bis comma 3 c.c; 4. art. 145, comma 1 c.c.; 5.art. 316, comma 3 c.c.; 6.art. 371 c.c.; 7.Legge 149/2001; 8.Legge 184 del 1983; 9.Corte di Cassazione, sentenza n. 11890/2015; 10.Convenzione di New York del 20 novembre 1989; 11.Legge n. 176 del 27 maggio 1991; 12.Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996; 13.Legge n. 77 del 20 marzo 2003; 14.D.Lgs n. 154/2013; 15.Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza n. 22238 del 21 ottobre 2009; 16.Corte di Cassazione, sentenza n. 9094 del 16 aprile 2007; 17.Corte di Cassazione, sentenza n. 6081 del 18 marzo 2006; 18.Corte di Cassazione, sentenza n. 16753/2007; 19.Corte di Cassazione, sentenza n. 6129 del 26 marzo 2015; 20. Corte di Cassazione, sentenza n. 11687/2013; 21.Corte di Cassazione, sentenza n. 5547/2013; 22.Corte di Cassazione, sentenza n. 13241/2011; 23.Corte di Cassazione, sentenza n. 7773/2012; 24.sentenza Cedu del 9 agosto 2006; 25.Corte di Cassazione, sentenza n. 15143/2014: 26.Corte di Cassazione, sentenza n. 12739/2011; 27.Corte di Cassazione n. 7282/2010. |
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