In tema di appalti pubblici, qualora la lettera di invito prevede che possano partecipare alla gara professionisti associati e non, società o consorzi, sempreché ci sia la presenza come titolari, soci o dipendenti, di professionisti regolarmente iscritti presso un determinato albo professionale, non può ritenersi equivalente al rapporto di lavoro dipendente, ai fini dell’ammissione alla gara, il contratto d’opera professionale, sebbene in via esclusiva; atteso che le due figure presentano notevoli differenze strutturali ed, in primis, l’intensità del vincolo, più forte nei confronti del dipendente, che conferisce al datore il potere di pretendere da quest’ultimo l’esecuzione delle prestazioni oggetto d’appalto.
Ritenere difatti assimilabili, ai fini del possesso dei requisiti di partecipazione, il contratto derivante dal rapporto d’opera professionale e quello di dipendenza, significherebbe incidere sulla par condicio dei partecipanti, atteso il maggior costo sostenuto dalla struttura che abbia proceduto all'assunzione del professionista (in via durevole) rispetto a quella che abbia invece stipulato il contratto d’opera (da eseguire solo in caso di aggiudicazione dell’appalto e per la sola durata di questo).
Lo ha stabilito il Tar Molise con sentenza n. 150 del 28 aprile 2017, annullando, sulla scorta di ciò, l’atto di aggiudicazione ad esito di un procedura negoziata, avente ad oggetto la realizzazione del piano di assestamento forestale di un Comune. La società aggiudicataria mancava, difatti, di un requisito soggettivo di partecipazione, in quanto non possedeva nemmeno un dipendente (tanto meno un socio o il titolare) che fosse iscritto all'albo professionale dei Dottori Agronomi o Forestali – come espressamente richiesto nella lettera d’invito - ma solo un consulente esterno con la predetta qualità, che però, per quanto suindicato, non può dirsi equipollente al lavoratore dipendente.
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