Amministratori di società fallita responsabili per mala gestio

Pubblicato il 02 ottobre 2019

La Corte di Cassazione offre primi chiarimenti sul Codice della crisi d’impresa e dell'insolvenza, prounciandosi sul tema dell’estensione della responsabilità dei sindaci di società di capitali per mala gestio degli amministratori.

Con la sentenza n. 24431 del 30 settembre 2019, infatti, la Suprema corte accoglie il ricorso presentato dalla curatela del fallimento di una società cooperativa a responsabilità limitata per mala gestio nei confronti dell’ex amministratore unico.

In primo grado, la richiesta era stata respinta per difetto di prova del danno e del nesso di causalità, non essendo possibile individuare uno “specifico e determinato depauperamento del patrimonio aziendale ragionevolmente imputabile all’amministratore e, quindi, ai sindaci”.

La Corte di cassazione, invece, accoglie il ricorso presentato dal curatore fallimentare.

Responsabilità amministratori, danno liquidato in misura pari alla differenza tra i patrimoni netti

Nella difesa principale, il curatore lamentava che la Corte territoriale aveva confermato la mala gestio, configurabile in una responsabilità omissiva dei sindaci in relazione alle condotte illecite poste in essere dall’amministratore, ma aveva limitato la valutazione del danno da “aggravamento del dissesto” agli oneri finanziari derivanti dalla “capitalizzazione trimestrale degli interessi bancari” in forza di clausole che successivamente la giurisprudenza avrebbe considerato nulle.

Tale conclusione è stata considerata, oltre che riduttiva, anche erronea perché non tiene conto della disciplina degli interessi ipotecari previsti dalla legge fallimentare.

Pertanto la Corte di Cassazione ha ritenuto ammissibile la liquidazione del danno in questione in via equitativa, sia nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare – qualora il ricorso a tale parametro si manifesti logicamente plausibile, purché l’attore abbia allegato inadempimenti dell’amministratore astrattamente idonei a porsi quali cause del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore stesso, sia con il ricorso al criterio presuntivo della “differenza dei netti patrimoniali”, in presenza degli stessi presupposti e nell’impossibilità di una ricostruzione analitica per l’incompletezza dei dati contabili o la notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento.

Inoltre, aggiunge la Corte, i suddetti criteri sono stati recentemente recepiti e ampliati dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che ha annesso all’articolo 2486 del Codice civile un terzo comma in base al quale: “quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all'articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell'irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura".

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