La Corte di Cassazione, prima sezione penale, ha confermato la statuizione con cui il Tribunale di Sorveglianza rigettava l’istanza avanzata dall'imputato – in espiazione di pena per reato di associazione a delinquere finalizzata all'emissione di false fatturazioni ed alle dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture per operazioni inesistenti – volta ad ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, la detenzione domiciliare. Il Tribunale negava i benefici richiesti, stante l’ingiustificata indisponibilità del condannato a risarcire il danno cagionato dai delitti commessi, comportanti un’evasione fiscale complessiva di decine di milioni di euro, a fronte del quale l’imputato metteva a disposizione dell’Erario la cifra irrisoria di 10 mila euro.
Per la concessione del trattamento alternativo dell’affidamento in prova ai servizi sociali – precisa, sul punto, la Corte Suprema – non può prescindersi dall’esistenza di un serio processo già avviato, da parte del reo, di revisione critica del passato delinquenziale e di risocializzazione. A tal fine, occorre soprattutto aver riguardo al comportamento ed alla situazione del soggetto dopo i fatti per cui è stata inflitta la condanna in esecuzione, onde verificare concretamente se vi siano o meno i sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e le condizioni che ne rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la misura alternativa.
Orbene nel caso di specie – si legge nella sentenza n. 39186 del 17 agosto 2017 - il provvedimento impugnato risulta immune da vizi, laddove ha evidenziato come l’imputato non abbia affatto avviato un serio e critico processo di revisione del proprio comportamento; in tale ottica evidenziando il mancato risarcimento, se non in maniera del tutto irrisoria, della enorme evasione fiscale messa in campo con le proprie condotte delittuose.
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