Confermato, dalla Cassazione, il licenziamento disciplinare intimato nei confronti di un lavoratore a cui erano stati addebitati specifici fatti di acquisto e cessione di sostanze stupefacenti.
Le condotte contestate avevano portato anche all’apertura di un procedimento penale a carico del dipendente, conclusosi con un patteggiamento.
I giudici di merito - a cui l’uomo si era rivolto per ottenere la declaratoria di illegittimità del recesso intimatogli dal datore - avevano respinto le doglianze del lavoratore, il quale, tra gli altri motivi, aveva lamentato che il licenziamento, in realtà, poteva essere irrogato solo in presenza di una condanna passata in giudicato.
Lo stesso aveva inoltre denunciato una violazione delle previsioni del CCNL applicabile al suo comparto (e, segnatamente, del relativo art. 67), in quanto la sentenza impugnata aveva posto a fondamento della decisione la disciplina di cui all’art. 55, comma 1 del D. Lgs. n. 165/2001, ritenuto prevalente rispetto a quella pattizia.
Motivi, questi, giudicati infondati dalla Suprema corte, per come si legge nel testo della sentenza n. 10224 del 28 maggio 2020.
Gli Ermellini, in particolare, hanno evidenziato come nel richiamato art. 67 del CCNL per il personale del comparto delle Agenzie Fiscali del 28 maggio 2014 – applicabile al caso de quo – il recesso è ricollegato al passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna solo per alcune fattispecie, espressamente tipizzate nelle lettere b) ed e).
Nell’ipotesi di cui alla lettera d) del menzionato art. 67 – dove si fa riferimento alla “commissione in genere – anche nei confronti di terzi – di fatti o atti, anche dolosi, che, pur costituendo o meno illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro…”- ciò che rileva, invece, è la gravità della condotta: l’irrogazione della sanzione disciplinare espulsiva è ivi consentita a prescindere dalla rilevanza penale dell’azione.
Secondo la Sezione lavoro della Cassazione, non vi era dubbio che in detta fattispecie potesse essere sussunta anche la condotta del dipendente per cui era causa, peraltro astrattamente idonea ad integrare un delitto, come del resto dimostrato dal procedimento penale attivato per acquisto e cessione a terzi di cocaina, conclusosi con un patteggiamento.
Rispetto alla condotta del prestatore, nello specifico, la sentenza impugnata aveva sottolineato, ai fini della valutazione della gravità dei fatti, la specifica “capacità di contatto” del dipendente, manifestatasi attraverso lo svolgimento di attività di approvvigionamento della sostanza stupefacente nel parcheggio esterno alla sede di lavoro, con uscite dal servizio strumentali all’acquisto finalizzato alla cessione della droga, nonché mediante l’abusivo utilizzo del permesso di cui alla Legge n. 104/1992 per un parente, tutti elementi, questi, espressivi della sostanziale inaffidabilità del lavoratore.
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