Accumulo di liquidità, pericoloso per il condannato in associazione mafiosa

Pubblicato il 12 giugno 2015

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 24729 dell'11 giugno 2015, ha confermato la decisione con cui i giudici di secondo di merito avevano condannato un uomo in relazione al reato di cui all'articolo 31 della Legge n. 646/1982, per avere omesso, pur essendovi tenuto, di comunicare nel termine di legge variazioni nell'entità e nella composizione del proprio patrimonio concernenti elementi di valore superiore normativamente stabilito.

In particolare, la Suprema corte ha ritenuto non ravvisabile alcuna incongruenza o illogicità nelle argomentazioni svolte dal giudice d'appello e con cui era stata confermata la condanna emessa in primo grado.

In detta sede era stato escluso che il consistente periodo di detenzione allegato dall'imputato a scusante della mancata comunicazione costituisse condizione impeditiva della conoscibilità del precetto penale, e ciò anche in considerazione del fatto che quest'ultimo era rivolto alla speciale categoria dei condannati per reati di criminalità organizzata.

I giudici di legittimità, nell'aderire alle pronunce di merito, hanno evidenziato come la fattispecie specificamente contestata appartenga al novero dei cosiddetti reati ostacolo ovvero ostativi o di scopo, i quali non puniscono comportamenti offensivi di un determinato interesse ma tendono, per ragioni di politica legislativa in genere e di contrasto al crimine organizzato, a prevenire il realizzarsi di condotte effettivamente lesive e pericolose.

In particolare, è stato ritenuto che l'accumulazione di liquidità derivante dalla dismissione di immobili costituisca certamente un pericolo ove attuata da soggetti condannati, anche non irrevocabilmente, per il delitto di associazione di stampo mafioso, al pari del reimpiego da parte degli stessi soggetti di cespiti economici di possibile provenienza illecita.

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