Nell’ordinanza n. 7011, depositata il 21 marzo 2018, la Corte di Cassazione si è pronunciata sugli effetti derivanti dalla mancata esibizione preventiva di documenti probatori nel corso delle attività di verifica.
L’Agenzia delle Entrate riteneva fondato il proprio avviso di accertamento, emesso nei confronti di una Srl che, nel frattempo, era fallita, con il quale si chiedeva la revoca di un’agevolazione fiscale ai fini Iva.
Per tali ragioni, impugnava in Cassazione la sentenza pronunciata dalla Ctr, eccependo che i giudici regionali non avevano, peraltro, rilevato la preclusione probatoria dei documenti contabili prodotti tardivamente.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, precisando che il divieto di utilizzo dei documenti non prodotti deve essere letto alla luce del principio di collaborazione e buona fede enunciato nell’articolo 10 dello Statuto del contribuente (Legge 212/2000), gravante sia in capo al contribuente che in capo all’Amministrazione finanziaria: infatti, se, da un lato, l’Amministrazione finanziaria deve formulare una specifica richiesta di informazioni e documenti, dall’altro, il contribuente deve assumere un comportamento collaborativo e trasparente, rispettoso dei canoni di correttezza e diligenza.
Per tali ragioni, la documentazione prodotta dal curatore avrebbe dovuto esser esaminata, in quanto non è emerso che il contribuente rifiutò espressamente una specifica richiesta di esibizione con un’apposita dichiarazione o che si sottraesse alla prova.
Quindi, ai fini della preclusione probatoria della documentazione non esibita durante la verifica tributaria, è necessario che al contribuente venga richiesto uno specifico documento e che allo stesso siano resi noti gli effetti derivanti dalla mancata presentazione.
Allo stesso modo, il giudice di merito deve esaminare la documentazione non esibita prima ai verificatori, qualora non vi sia stata una preclusione esplicita.
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