La Corte di Cassazione torna ad occuparsi della fattispecie dell’abuso di diritto in merito ad una complessa operazione di riorganizzazione societaria di un gruppo.
La questione è analizzata nella sentenza n. 31772 del 5 dicembre 2019.
I ricorsi della società contribuente avverso avvisi di accertamento spiccati dall’Agenzia delle Entrate, per il recupero a tassazione di plusvalenze, erano stati accolti dalla Ctp, mentre l’appello era stato respinto dalla Ctr adita. L’ufficio aveva proposto così ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte nelle sue motivazioni ha ribadito come la prova del disegno elusivo incomba sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative. Inoltre “non è configurabile l’abuso di diritto se non è stato provato dall’ufficio il vantaggio fiscale che sarebbe derivato al contribuente dalla manipolazione degli schemi contrattuali classici”.
Si legge nella sentenza 31772/2019 che il carattere abusivo di un’operazione presuppone l’esistenza di uno strumento giuridico che, seppur alternativo a quello scelto dai contribuenti, è funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito.
Da qui, la conclusione più volte ribadita dalla Corte secondo la quale: “la scelta di un’operazione fiscalmente più vantaggiosa non è sufficiente ad integrare una condotta elusiva”, quando è lo stesso ordinamento a prevedere tale facoltà.
Con riferimento, poi, ai casi di riorganizzazione societaria, è stato chiarito che: il “carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione”.
Alla luce di tutto ciò, secondo la Corte, “incombeva sull’Amministrazione finanziaria l’onere di spiegare, anche nell’atto impositivo, perché il complesso delle forme giuridiche impiegate abbia carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa, mentre era onere del contribuente provare la compresenza di concomitante contenuto economico dell’operazione, non marginale, diverso dal mero risparmio fiscale”.
Nel caso di specie, quindi, il giudice di merito non era chiamato ad accertare se l’operazione controversa fosse elusiva, perché realizzata in un certo modo; ma a valutare se l’operazione concretamente realizzata fosse elusiva, premesso che avrebbe potuto conseguirsi lo stesso risultato in forme diverse.
La sentenza impugnata – secondo la Corte di cassazione - va quindi cassata e rimessa al giudice a quo.
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