Con sentenza n. 24024 depositata il 25 novembre 2015, la Corte di Cassazione, sezione tributaria, ha accolto il ricorso di una società contribuente, cui erano stati notificati dall'Agenzia delle Entrate alcuni avvisi di accertamento (e successive cartelle di pagamento) per operazioni ritenute abusive.
La contribuente, tuttavia, aveva tempestivamente impugnato i suddetti avvisi per carenza di motivazione, ottenendone comunque la conferma di legittimità da parte della Commissione tributaria.
Aveva dunque riproposto la medesima censura in Cassazione, questa volta, ottenendo ragione.
A parere della Suprema Corte infatti, l'obbligo di motivazione dell'atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l'opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l'an o il quantum debeatur.
Detti elementi conoscitivi, pertanto, devono essere forniti all'interessato non solo tempestivamente (cioè, inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permette al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto alla difesa.
Ora tornando al caso esaminato – specifica la Corte Suprema – l'abuso del diritto nel nostro ordinamento non opera automaticamente per il solo accertamento di condotte che concernono la materia delle imposte sui redditi (come avvenuto nella fattispecie). Viceversa, il legislatore ha scelto di "tipizzare" ex art. 37 bis D.p.r. 600/1973 la figura dell'abuso del diritto, convogliandola su specifici elementi caratterizzanti e su ben determinate operazioni negoziali, in assenza delle quali non è configurabile alcuna pratica abusiva.
Enunciazione, quest'ultima, di cui non vi è alcuna traccia nella sentenza impugnata, ove il giudice ha collocato in modo sostanzialmente apodittico la fattispecie nel quadro generale del c.d. "abuso del diritto", senza che l'Ufficio finanziario abbia dato concreta dimostrazione dell' antieconomicità delle operazioni contestate e, soprattutto, senza che abbia dato prova – come suo onere – del disegno elusivo sottostante e delle modalità di alterazione e manipolazione degli schemi negoziali classici.
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