Il professionista che si cancella dall’Albo dei dottori commercialisti e continua a tenere e trasmettere la documentazione fiscale ricade nel reato di esercizio abusivo della professione di consulente del lavoro.
L’ex commercialista, condannato nei due gradi di giudizio e ricorrente in cassazione, ha fatto presente di essere incorso nella erronea rappresentazione di elementi materiali del reato e non in errore di diritto in quanto si era cancellato dall’Ordine dei dottori commercialisti ritenendo che per svolgere la mansione fosse sufficiente l’iscrizione all’Istituto nazionale dei revisori legali.
I motivi addotti dal ricorrente sono stati ritenuti dalla Corte di cassazione, nella sentenza n. 30827 del 21 giugno 2017, infondati.
L’errore di fatto, che dà luogo all’esclusione dell’elemento psicologico, rileva se il soggetto si rappresenta la realtà di fatti che, se veramente esistenti, escluderebbero l’antigiuridicità del comportamento.
Diversamente, l’ignoranza della norma integratrice del precetto penale non può essere considerata errore di fatto bensì ignoranza della legge penale, rilevante solo se inevitabile.
Fa presente la Cassazione che l’articolo 348 del c.p. sull’esercizio abusivo della professione deve ritenersi una norma in bianco in quanto presuppone l’esistenza di altre disposizioni, integrative del precetto penale, che indicano il perimetro oltre il quale non è permesso l’esercizio di determinate professioni.
Pertanto l’errore su tali norme va eguagliato all’errore sulla legge penale a cui non si può attribuire valore scriminante.
Inoltre, la qualifica professionale posseduta dal ricorrente esclude che lo stesso avesse agito in buona fede; date le specifiche competenze professionali, il professionista avrebbe potuto accertare, presso gli organi competenti, i requisiti occorrenti per lo svolgimento dell’attività ritenuta abusiva.
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