Nell'ambito di una pronuncia sui trasferimenti immobiliari, viene operato il richiamo alla Corte Costituzionale, la quale ha stabilito che la sola differenziazione del contesto acquisitivo del bene oggetto di una compravendita non può giustificare la discriminazione di due fattispecie sostanzialmente omogenee, specialmente rispetto all'esclusività del diritto potestativo concesso all’acquirente in libero mercato.
Secondo la Consulta, in particolare, l’attuale sistema normativo consente non solo di esercitare il diritto potestativo - la scelta del valore determinato secondo il criterio “tabellare” - ma anche, in presenza di fasi congiunturali avverse (quando i prezzi degli immobili in regime di libero mercato risultino, anche a seguito dell’eventuale concomitante aggiornamento dei dati catastali, inferiori al detto criterio “tabellare”) di non chiedere l’applicazione di esso. Precludere, dunque, ad acquirenti della stessa categoria di immobili destinati ad uso abitativo - che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, ma acquisiscono la proprietà in esito a procedure esecutive o per asta pubblica - la facoltà di scelta, é anticostituzionale perché contrasta con l’articolo 3 della Costituzione, implicando un’ingiustificata discriminazione del trattamento tributario riservato ad una categoria omogenea di beni.
L’ostacolo che la dottrina ravvisa nella dichiarazione, ad opera del contribuente, di volersi avvalere di altro criterio, ovvero del “prezzo-valore”, ai fini della determinazione della base imponibile quale circostanza inibitoria del potere accertativo dell’Ufficio delle Entrate, è superabile considerando che l’attività accertativa può essere esercitata solo in seguito al passaggio in giudicato della sentenza (dunque, dopo il trasferimento dei diritti immobiliari) e al decorso di un congruo tempo per l’eventuale dichiarazione.
Pertanto, l’inattuabilità di una sincronia cronologica tra dichiarazione di volersi avvalere del criterio “prezzo–valore” e cessione dell’immobile, legittima il contribuente stesso ad una dichiarazione successiva, purché effettuata prima della notifica dell’accertamento.
Nella fattispecie di cui all'ordinanza della Corte di Cassazione n. 5751/2018, poiché l’effetto traslativo della proprietà si è prodotto solo con il passaggio in giudicato della sentenza costitutiva (ex art. 2932 c.c.) - emessa il 9 giugno 2005 e registrata il 15 ottobre 2008 (impugnata successivamente con ricorso per Cassazione) - la dichiarazione resa dal contribuente al notaio nel maggio del 2009, successivamente all’effetto traslativo della proprietà, ma prima della notifica degli avvisi di liquidazione (avvenuta il 9 marzo 2010), risulta valida.
L'art. 1 comma 497 L. 2005/266, ai sensi del quale l’acquirente deve rendere la dichiarazione al notaio rogante al momento della cessione, con la conseguente irrilevanza della dichiarazione successiva resa dal contribuente – norma sulla quale si poggia il ricorso proposto dalle Entrate – è pertanto (parzialmente) incostituzionale.
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