Studi di settore, valore costante

Pubblicato il 19 gennaio 2007

La risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-00555 (vedi Edicola di ieri) conferma che gli studi di settore continuano a rappresentare una presunzione semplice (ai sensi dell’articolo 2729 del Codice civile) e non legale. Tale conclusione si può ritenere corretta anche considerando ciò che stabilisce l’articolo 62-sexies, comma 3, del Dl 331/1993, il quale dispone che gli accertamenti analitico-induttivi dell’articolo 39 del Dpr 600/1973 “possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore”. Cioè gli accertamenti analitico-induttivi possono essere effettuati sulla base di presunzioni semplici, purchè queste risultino gravi, precise e concordanti. Da qui la conclusione che gli accertamenti da studi rientrano tra quelli che poggiano su presunzioni semplici e non legali. L’aspetto sicuramente da sottolineare, però, come ha fatto la stessa agenzia delle Entrate – con la risoluzione n. 58/2002 – è che l’accertamento può essere effettuato quando emergono gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore. Ora che con 2007 si stabilisce che l’accertamento basato sugli studi è effettuabile per il solo fatto che il contribuente dichiari ricavi inferiori a quelli di Gerico, si poteva arrivare a pensare che la presunzione basata sugli studi si trasformasse da semplice a legale. Invece, anche il Governo, supportato dal pensiero dell’Agenzia, afferma che gli studi rimangono delle presunzioni semplici.

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