Società di fatto tra coniugi. Fallimento esteso anche alla moglie

Pubblicato il 12 luglio 2013 Con la sentenza n. 16829 depositata il 5 luglio 2013, la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla moglie di un imprenditore commerciale contro la decisione con cui i giudici di merito avevano esteso anche nei suoi confronti il fallimento del marito; in particolare, era stato dichiarato il fallimento della società di fatto ritenuta esistente tra il coniuge e la donna, nonché di quest'ultima, quale socio illimitatamente responsabile.

I giudici di Cassazione, con l'occasione, hanno dapprima spiegato che, perché possa considerarsi esistente una società di fatto, agli effetti della responsabilità delle persone e/o dell'ente, anche in sede fallimentare, non occorre necessariamente la prova del patto sociale, ma è sufficiente dimostrare un comportamento, da parte dei soci, “tale da ingenerare nei terzi il convincimento giustificato ed incolpevole che quelli agissero come soci".

In caso di società di fatto che intercorra fra consanguinei, tuttavia, la prova della esteriorizzazione del vincolo deve essere particolarmente rigorosa; è necessario ossia che vengano riscontrati elementi e circostanze concludenti, tali da escludere che l'intervento del familiare possa essere motivato dalla "affectio familiaris", sicché, “di regola, non è di per sè sufficiente la dimostrazione di finanziamenti e/o pagamenti ai creditori dell'impresa da parte del congiunto dell'imprenditore, costituendo questi atti neutri, spiegabili anche in chiave di solidarietà familiare”.

E secondo la Suprema corte, i giudici di merito si erano correttamente attenuti a tali principi in quanto avevano ritenuto sussistente, nella concreta fattispecie, l'esteriorizzazione del vincolo, in considerazione di diversi riscontri quali, in particolare, la cointestazione ad entrambi i coniugi di tre conti correnti affidati, utilizzati per l'esercizio dell'impresa; la prestazione sistematica di fideiussioni a garanzia delle esposizioni dei conti intestati al marito; la comproprietà della maggior parte degli immobili utilizzati nell'esercizio dell'impresa; la costituzione di ipoteca volontaria a favore di banche creditrici e la collaborazione prestata dalla donna alla gestione dell'impresa del marito.
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