Sicurezza senza cedimenti

Pubblicato il 08 luglio 2009 Con la sentenza n. 23976 (7 maggio 2009) della Terza sezione penale, depositata in data 11 giugno, la Corte di Cassazione si è espressa sul vasto argomento della sicurezza dei luoghi di lavoro, fornendo alcune indicazioni su obblighi e tutele di datori e dipendenti. Nello specifico, con la sentenza in esame la Suprema Corte, in una fattispecie nella quale il giudice di merito aveva adottato sentenza di proscioglimento per non essere più il reato di cui all’articolo 8 del Dpr n. 547/1955 previsto dalla legge come reato, ha annullato con rinvio l’impugnata sentenza, affermando che sussiste continuità normativa tra il reato previsto dall’abrogata disposizione e la predetta fattispecie penale introdotta, in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, dal combinato disposto degli artt. 63, 64 e 68, lett. b) del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Infatti, mentre per i giudici del Tribunale di Lecce il fatto (cioè il non aver provveduto a dotare di protezioni adeguate camminamenti e piattaforme dello stabilimento) si considera non più come reato per effetto dell’abrogazione disposta dal nuovo Testo unico sulla sicurezza, per la Cassazione, invece, non si può parlare di depenalizzazione, né in generale né in particolare. Anche se il Dpr 547/55 è stato integralmente abrogato, ciò non vuol dire che i suoi contenuti – nella parte riguardante la sicurezza dei pavimenti e dei luoghi destinati al passaggio – non siano stati ripresi e tradotti nei nuovi articoli 63 e 64 del Dlgs n. 81. Per i giudici di merito, quindi, la nuova normativa fissa tuttora le stesse prescrizioni relative alla sicurezza dei luoghi di lavoro in modo, forse, ancora più dettagliato. Tutto ciò è sufficiente per far ritenere la continuità normativa che vale ad escludere l’abolizione del reato.
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