Preclusa al giudice tributario la valutazione equitativa

Pubblicato il 10 settembre 2009

Nel processo tributario, il giudice ha poteri limitati sull'accertamento. Gli è precluso cambiare l'ammontare delle imposte chieste dal Fisco con una valutazione equitativa e secondo parametri di esperienza. Deve, anzi, attenersi alla dichiarazione del contribuente e agli accertamenti effettuati dall’Amministrazione finanziaria.

La Corte Suprema - pronuncia n. 19079 dell’1 settembre 2009 – accetta così la tesi della contribuente cui il giudice tributario aveva ridotto i corrispettivi accertati con una valutazione equitativa (non già secondo la dichiarazione e i calcoli fatti dagli Uffici fiscali), mutuata dal processo civile. Dichiara che "dalla natura del processo tributario - il quale non è annoverabile tra quelli di "impugnazione-annullamento", ma tra i processi di "impugnazione-merito", in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell'atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell'accertamento dell'ufficio - discende che ove il giudice tributario ritenga invalido l'avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l'atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass. 15825/06, 17127/07)".

La censura operata in sentenza 19079/2009 deriva perciò dal comportamento non legittimo del giudice tributario, che, "(…) riconosciuta l'incongruenza dell'accertamento dell'Ufficio, non offre tuttavia alcuna verificabile motivazione riguardo ai criteri ed alle ragioni che lo inducono a ridurre del 20% i ricavi ed i corrispettivi accertati, dovendosi escludere la sussistenza di qualsivoglia potere equitativo".

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